Potrà sembrare un paradosso ma il bellissimo Juventus Stadium rappresenta una sintomo del declino del calcio italiano rispetto alle altre principali leghe continentali. Nel secondo turno di Champions League, infatti, una delle partite più interessanti dal punto di vista tecnico era sicuramente Arsenal–Napoli. La sfida metteva di fronte la capolista della Premier Legaue inglese e la seconda in classifica, nonché una della grandi favorite al titolo, della Serie A italiana. La partita si è risolta in un trionfo dei Gunners che con una partenza bruciante (due gol in 15 minuti) hanno spento sin da subito le velleità degli Azzurri di Rafa Benitez privi del cannoniere Higuaìn.
Ma al di là del commento tecnico, la partita ha fornito un altro spunto di riflessione per un sito come Calcio&Finanza, che analizza il fenomeno calcio da un punto di vista finanziario e che raffronta la capacità di attirare investitori dei vari campionati europei. Il match si è infatti svolto nell’Emirates Stadium, l’impianto che dal 2006 è la casa dell’Arsenal. Nel 1999 il club inglese prese la decisione di lasciare Highbury perché il borough londinese di Islington non aveva dato il permesso di espandere ulteriormente il vecchio stadio.
La costruzione del nuovo impianto non è stata facile. Per finanziarne la costruzione l’Arsenal cedette all’inizio del decennio scorso alcuni dei suoi migliori giocatori (Overmars e Anelka su tutti) e vendette un 5% del capitale al gruppo televisivo Granada. Ma la svolta decisiva arrivò nel 2004 quando la compagnia aerea Emirates Airlines che decise di versare 100 milioni di sterline in cambio di assicurarsi per 15 anni i naming rights dell’impianto (che infatti si chiama Emirates Stadium) oltre che diventare il main sponsor sulle maglie della squadra.
Insomma nel 2006 l’Arsenal si ritrovò il secondo più grande stadio in Premier League dopo l‘Old Trafford di Manchester ed il terzo più grande a Londra, dopo il nuovo Wembley e Twickenham, il tempio del rugby inglese. Il progetto complessivo dello stadio è costato 390 milioni di sterline e di questi oltre un quarto è stato fornito da una compagnia aerea che ha investito per intitolare a suo nome il nuovo impianto per 15 anni.
In Italia l’unica grande società ad avere uno stadio di proprietà è la Juventus, ma il club bianconero, supportato dal Credito sportivo, ha dovuto per lo più camminare sulle proprie gambe per realizzare lo Juventus Stadium, impianto inaugurato nel 2011 e costato complessivamente circa 105 milioni di euro. Il club torinese, in particolare, non solo non ha potuto contare su uno sponsor che in anticipo rispetto alla costruzione dello stadio ma ha addirittura deciso, sapendo che non sarebbe stata cosa facile, di affidare alla società Sportfive del gruppo francese Lagardère la ricerca di uno sponsor.
In pratica, Sportfive si è aggiudicata, per 75 milioni di euro e per i 12 anni successivi all’inaugurazione dello stadio (ovvero fino al 30 giugno 2023), il diritto esclusivo di trovare gli sponsor che legheranno il loro nome all’impianto. Insomma se Sportfive trova uno sponsor l’incasso del contratto d’affitto è interamente suo. L’unico vincolo per la società francese è che l’azienda che legherà il proprio nome allo stadio non potrà essere né un concorrente dello sponsor tecnico della Juventus (Nike), né una casa automobilistica (per via del legame tra il club e la Fiat).
Quindi per usare il gergo dei banker, il club bianconero ha scambiato (swappato direbbe un trader) un flusso di cassa certo (6,25 milioni l’anno per 12 anni) rinunciando a uno variabile legato all’entità del contratto siglato con lo sponsor che darà il nome allo stadio.
Siccome lo stadio, da oltre due anni dall’inaugurazione, si chiama ancora Juventus Stadium è evidente che Sportfive non ha ancora trovato lo sponsor che dia il nome all’impianto. E quindi che la scelta del club bianconero si sia rivelata corretta. Ma proprio qui sta il problema: perché l’Arsenal nel 2004 è riuscito a trovare uno sponsor che ha versato nella sue casse 100 milioni di sterline e Sportfive dopo due anni non è riuscito a trovare un’azienda che voglia intitolare a sé l’impianto torinese.
Si dirà: nel 2004 la crisi economica che ha sconvolto l’Europa dopo il 2008 non era neanche immaginabile. Vero. Ma è anche vero che l’Arsenal non ha certo il pedigree della Juventus.
Il club bianconero è la squadra di gran lunga più amato in Italia con falange di tifosi in tute le aree della nazione, ma è anche tra quelli più prestigiosi e conosciuti al mondo. Mentre i Gunners sebbene abbiano anch’essi una gran numero tifosi in tutto il mondo e appartengano anch’essi all’aristocrazia del calcio inglese, non sono certo il top club della Premier League né possono vantare i trofei del club bianconero, il cui omologo Oltremanica è sicuramente il Manchester United.
La risposta di questa discrasia sta forse nella scarsa appetibilità del campionato italiano rispetto al grande seguito di quello inglese. Non a caso il presidente juventino Andrea Agnelli, in una recente intervista al Financial Times, si è recentemente rammaricato di come la Serie A sia diventata, un “transit league”, per i campioni, ovvero un campionato di passaggio verso le leghe ormai più importanti.
E nonostante tutti i quattrini incassati sono dieci anni che le squadre inglesi non vincono trofei a livelli internazionale. Oltretutto il calcio inglese mi annoia, cross e dinamismo e poco altro. E la nazionale inglese si fa eliminare dall’Islanda agli europei. Di calcio si tratta non di finanza.