“Il Milan è come la Ferrari. Anche quando non ottiene grandi risultati sul campo, continua ad essere un brand riconosciuto e amato dai tifosi di tutto il mondo”. Così Adriano Galliani, in occasione del rinnovo per dieci anni della sponsorizzazione tecnica con Adidas, descriveva la forza del marchio Milan. Una forza, basata su una storia di successo ben scolpita nella memoria di tifosi e appassionati, capace di attrarre partner disposti a investire sul brand anche quando le vittorie non arrivano da un po’.
D’altra parte un avvio di campionato disastroso non può cancellare le 7 coppe dei campioni, le quattro intercontinentali, i 18 scudetti e tutti gli altri trofei che fanno tuttora del Milan il club più titolato al mondo. Il blasone, anche nel calcio moderno, continua a contare. Lo testimonia il fatto che per annunciare il rinnovo della partnership tecnica con il Milan sia arrivato dalla Germania fino a Milanello, Herbert Hainer in persona, il gran capo dell’Adidas, che ha fatto proprio il ragionamento dell’amministratore delegato rossonero. “Un brand con una tale storia alle spalle”, ha spiegato il ceo del colosso tedesco dell’abbigliamento sportivo, “è quello che per noi è più importante”.
Ma vivere solo delle glorie del passato alla lunga rischia di essere controproducente anche negli affari. Se la Ferrari, infatti – rifacendosi al paragone di Galliani – continua ad essere un mito, nonostante non vinca un Campionato del Mondo piloti in Formula 1 dal 2007, è anche perché continua comunque a produrre automobili straordinarie, che vengono vendute in tutto il Mondo a prescindere dai risultati sportivi della rossa.
A differenza della casa di Maranello, il Milan, come tutte le società di calcio, si limita invece a “vendere” emozioni. Il prodotto ultimo non sono automobili, ma devono essere le vittorie. Solo in questo modo un’epopea si può autoalimetare e si possono costruire su questa ulteriori successi commerciali.
Sbagliare una stagione ci sta. Anche sbagliarne due. Nello sport, più che nell’industria, ci sono variabili imponderabili. Il problema del Milan non è tuttavia l’attuale ruolino di marcia in campionato, ma la progressiva emarginazione dal circolo dei top club europei.
L’ultimo trionfo internazionale risale, proprio come per la Ferrari, al 2007. Da lì in poi il club, nonostante i soldi spesi, non è stato in grado di aprire un nuovo ciclo di vittorie internazionali. Dal 2008 al 2012 la Fininvest della famiglia Berlusconi ha versato nelle casse del Milan circa 250 milioni di euro. Eppure nella bacheca di Via Turati sono arrivati “solo” uno scudetto e una supercoppa italiana. In Europa, dopo la vittoria di Atene del 2007, il risultato migliore è stato raggiunto nella stagione 2011-2012, con l’eliminazione ai quarti di finale di Champions League contro il Barcellona (0-0 a Milano e 3-1 al Camp Nou).
E pensare che dal 2003, l’anno della vittoria della Champions a Manchester contro la Juventus, al 2007, l’anno della rivincita di Atene contro il Liverpool, dal punto di vista sportivo il Milan ha rappresentato di fatto quello che il Barcellona o il Bayern di Monaco hanno rappresentato negli ultimi quattro anni: tre finali di Champions (2003,2005 e 2007), una semifinale (2006), quattro anni ai primi tre posti del Ranking Uefa (2005, 2006, 2007 e 2008).
Se oggi il Milan è solo al 14esimo posto nella graduatoria dei principali club europei è anche perché le vittorie del ciclo di Carlo Ancelotti, quando nel club rossonero giocavo campioni del calibro di Paolo Maldini, Andriy Shevchenko, Manuel Rui Costa, Andrea Pirlo non sono state adeguatamente capitalizzate dal punto di vista commerciale, consentendo al club di puntare, come fatto da altre società in Europa, su nuovi campioni per poter mantenere elevata la competitività sia in Campionato sia in Champions, senza invece dover puntare tutto solo sul contenimento dei costi.
Da questo punto di vista un confronto tra il Milan, il Barcellona e il Bayern può aiutare a comprendere quanto è accaduto. Ancora fino alla stagione 2005-2006 (con i rossoneri usciti in semifinale di Champions col Barca senza perdere), il Milan aveva ricavi superiori sia al club catalano sia a quello bavarese. Da lì in avanti, come si può vedere dalla seguente tabella, è avvenuto il sorpasso.
Ma come è stato possibile? Di certo le specificità del sistema Italia hanno pesato. L’introduzione della Legge Melandri sulla negoziazione collettiva dei diritti televisivi ha contribuito a limitare la crescita del fatturato del Milan e degli altri top club di Serie A (anche se è pur vero che dal punto di vista dei diritti televisivi il Milan continua ad incassare più dei campioni d’Europa del Bayern Monaco), così come l’assenza di un impianto di proprietà ha di fatto inchiodato la crescita di questa voce di ricavo per i rossoneri, mentre il Bayern, che dalla stagione 2005/2006 può contare su un moderno impianto quale l’Allianz Arena ha visto aumentare nel tempo i proventi legati allo stadio.
Ma è sui ricavi da sponsorizzazioni e marketing che la partita è stata persa. E in questo caso senza troppi alibi. Se è infatti vero che sotto questo punto di vista il Bayern poteva contare già nei primi anni 2000 di una posizione di forza rispetto al Milan, lo stesso non si può dire per il Barcellona. Nonostante il Milan sia quello tra i club italiani con una maggiore propensione allo sviluppo delle attività commerciali, il cui apporto al totale dei ricavi è comunque importante in valore assoluto, se lo si mette a confronto con il Barcellona il confronto appare impietoso.
Negli ultimi anni, come hanno sottolineato gli analisti della Deloitte nell’annuale report dedicato ai proventi dei principali club europei (Money League 2013), “la crescita dei ricavi” del Barcellona “è stata trainata quasi esclusivamente dall’aumento significativo delle entrate commerciali” nelle ultime due stagioni e in particolare grazie all’accordo siglato nel 2011-2012 con la Qatar Sports Investments da 30 milioni l’anno.
Pur a fronte dei buoni risultati, almeno per quanto riguarda il mercato italiano, ottenuti dal Milan, negli ultimi anni il divario con Barca in termini di ricavi commerciali si è ancora più allargato, anche per il fatto che, grazie alle vittorie europee e alla presenza di affermati e celebrati campioni tra le sue fila, primo ma non il solo, il Pallone d’Oro Leo Messi, il Barcellona si è ormai affermato come un brand globale.
Secondo la società di consulenza Brand Finance, specializzata nella valutazioni dei marchi e degli intangibles, nel 2013 il valore del marchio del Barcellona, alla luce dei risultati sportivi raggiunti (la vittoria nella Liga, ma l’eliminazione in semifinale in Champions) è rimasto pressoché stabile a 572 milioni di dollari al quarto posto in Europa, quello del Bayern Monaco, grazie alla tripletta (Champions, Bundesliga e Coppa di Germania) è balzato dal secondo al primo posto con un valore stimato di 860 milioni di dollari, mentre quello del Milan, pur confermandosi al nono posto, ha registrato il calo più grande (-10% a 263 milioni di dollari) tra quelli delle squadre inserite nella top 10.
Secondo gli esperti di Brand Finance, i risultati relativamente deludenti del Milan in campo sportivo sia a livello nazionale che europeo nella stagione 2012-2013, assieme all’invecchiamento di San Siro, che impatta negativamente sui ricavi da stadio, non sono stati sufficientemente bilanciati dagli sforzi intrapresi dalla società dal punto di vista commerciale, con la decisione, suggerita dall’advisor Infront Italy, di razionalizzazione del numero degli sponsor, in modo da garantire loro maggiore visibilità ed esclusività, in cambio di maggiori introiti.
Se questo trend dovesse continuare anche nel medio periodo e il Milan, che sembra aver rifocalizzato la propria mission puntando ad un ruolo di vertice solo nelle competizioni nazionali (obiettivo che, peraltro, in questo momento appare lontano), non dovesse tornare ad avere un ruolo di primo piano nelle competizioni europee, la forbice con i top club europei possa allargarsi ulteriormente anche dal punto di vista commerciale. In tal caso più che la Ferrari il club rossonero potrà essere paragonato all’Alfa Romeo, il cui storico brand è conosciuto in tutto il mondo, ma i cui risultati in termini di vendite non sono certo brillanti come quelli della tedesca Audi, che guarda caso figura tra gli azionisti del Bayern Monaco.