Il Milan diventerà come Real Madrid e Barcellona, ovvero due grandi società sportive ad azionariato popolare che prosperano grazie alle proprie forze e senza la necessità di ricorrere ai capitali di un proprietario mecenate? Per ora, a sentire il presidente del Milan, Silvio Berlusconi, “è un tema che non si pone”. Tuttavia l’ex presidente del consiglio, nell’intervista rilasciata ad Alberto Cerruti della Gazzetta dello Sport (Leggi l’intervista a Silvio Berlusconi), non esclude che questa possa essere una soluzione possibile per il futuro. Berlusconi, pur ribadendo nuovamente la volontà di non cedere il club (“non sarei capace di cedere il Milan a uno straniero, forse nemmeno a un italiano”), per la prima volta sembra prendere in considerazione l’azionariato popolare come un modello possibile: “Avrebbe piuttosto senso considerare l’esempio del Real Madrid e del Barcellona, una sorta di azionariato popolare. Ma per il momento è un problema che non si pone”.

milan azionariato popolare

Ma al di là del fatto che possano esistere piani concreti per aprire il capitale del Milan al mercato o per trasformarlo in futuro in un grande club ad azionariato diffuso, sul modello di Real, Barça e Bayern Monaco (che ieri ha annunciato ricavi record per 528 milioni), la presa di posizione di Berlusconi è interessante perché rappresenta una sorta di svolta nel suo modo di intendere gli assetti proprietari di una società di calcio. Ancora fino a qualche settimana fa, infatti, il modello prediletto dal presidente rossonero sembrava essere ancora quello del mecenatismo. Tanto che nel corso della sua visita a Milanello del 22 agosto scorso, stando sempre a quanto riportato dalla Gazzetta, per giustificare la perdita di competitività del Milan a livello nazionale e internazionale, anziché indicare Real, Barca e Bayern come modelli virtuosi cui ispirarsi, avrebbe fatto riferimento all’impossibilità di competere con gli sceicchi di Paris Saint Germain e Manchester City e i loro capitali.

In quell’occasione avevamo sottolineato quelle che ritenevamo essere le debolezze alla base del ragionamento di Berlusconi (Milan, Berlusconi evoca gli sceicchi ma in Europa a vincere sono i club ad azionariato diffuso) a cominciare dal fatto di non considerare modelli percorribili per le società di calcio né la quotazione in borsa né tanto meno l’azionariato popolare.

Almeno fino ad oggi, infatti, Berlusconi ha sempre ritenuto che una società di calcio, specie se vuole essere competitiva sia in campo nazionale sia in campo internazionale, rappresenta un’attività economica cronicamente in perdita. Di qui la contrarietà, espressa dal proprietario del club in più occasioni, alla quotazione in borsa del Milan: “Io non credo che sia logico quotare le società di calcio in borsa perché non producono utili ma solo perdite”.

Nella visione di Berlusconi, dunque, almeno fino alla presa di posizione odierna, era contemplato un solo modello, quello da lui perpetuato, con successo ma anche a costa di pesanti sacrifici economici, nel corso dei suoi 28 anni di presidenza, ovvero il mecenatismo. Se, come sostenuto da Berlusconi, una società di calcio, specie se di successo, è strutturalmente in perdita, l’unica fonte di sostentamento è rappresentata dalla ricchezza del suo proprietario, che a sua volta dipende dalle altre attività economiche di quest’ultimo (nel caso di Berlusconi le tv di Mediaset, i libri della Mondadori e i prodotti finanziari di Mediolanum).

Ma questo modo di pensare si infrange di fronte ai bilanci di Real Madrid, Barcellona e Bayern Monaco, tutte e tre società ad azionariato diffuso e ai primi posti non solo nella classifica dei ricavi ma anche del ranking Uefa.

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