L’Inter è un sentimento. Che si trasmette dai tifosi alla società ai giocatori e a tutto quello che diventa passione, ricordo, affetto e che ci completa la vita. E sempre con l’idea che c’è domani, perché domani c’è un’altra partita e domani si ricomincia e si riparte“. Con queste parole Massimo Moratti ha aperto la lunga intervista rilasciata al Corriere della Sera. Un’intervista in cui l’ex numero uno ha ripercorso velocemente i suoi 18 anni, segnando le tappe, le vittorie e i protagonisti più importanti della sua esperienza da presidente dell’Inter.

Passaggio numero uno, il ritorno di Roberto Mancini in nerazzurro: “perché la prima idea che avevo avuto, nel momento dell’acquisto della società, era stata quella di prendere Cantona e Mancini. Poi Cantona l’aveva combinata grossa, a Londra, me presente, con quel colpo di kung fu al tifoso del Crystal Palace e aveva voluto restare a Manchester e Mancini non era cedibile. Sarebbe stata un’accoppiata fantastica, degna della tradizione dell’Inter, una squadra che ha sempre privilegiato il genio calcistico e che non ha mai soffocato il talento: da Meazza a Wilkes, un giocatore meraviglioso, almeno per quello che mi ha raccontato mio fratello, da Skoglund a Corso, da Ronaldo a Recoba a Ibrahimovic. Ricordo ancora il debutto di Corso, nell’anteprima di Inter-Brasile: al ventesimo dribbling, il suo avversario era uscito dal campo, tanto era frastornato. Altre due volte ho cercato di prendere Mancini; a fine ottobre 1996 era tutto fatto, poi Enrico Mantovani mi aveva spiegato che ci sarebbe stata una sollevazione popolare dei tifosi della Samp. E io mi sono tirato indietro“.

Il mercato è stato sempre il terreno privilegiato da Moratti per esaltare la piazza. Un colpo su tutti: Ronaldo:”ed è stato il miglior investimento dei miei 18 anni di presidenza interista, perché ci ha aperto il mondo; era fortissimo, irraggiungibile per talento e velocità e nessuno pensava che ce l’avremmo fatta a prenderlo, visto che era del Barcellona

Ma è rimasta una grandissima ammirazione anche per Ibrahimovic: “Ha doti straordinarie, ma soprattutto ti fa vincere. Con noi tre scudetti di seguito. Qualche giorno fa, stavo riguardando la partita con il Parma, sotto il diluvio nel maggio 2008. Ibrahimovic era stato grandissimo, ma non solo lui. Penso per esempio a Balotelli, che giocava all’ala. Mi spiace molto che stia attraversando un periodo così; ha avuto grandi opportunità, ma non è riuscito a raccogliere quanto avrebbe potuto. Si è involuto rispetto a quando giocava con l’Inter”. Ibrahimovic era “così trascinante che, dopo l’ultimo allenamento con la squadra in America, prima di prendere l’aereo e di volare a Barcellona per firmare, aveva salutato i compagni dicendo: è stato molto bello con voi, ma senza di me non vincerete più niente. Per fortuna non è andata così“.

Moratti poi non può non ricordare chi lo ha consegnato alla storia, con la vittoria del Triplete e di una Champions League attesa per 45 lunghi anni: Josè Mourinho.Mi ha sempre ricordato Herrera. Grande lavoratore, serio, scrupoloso, sempre pronto a difendere la società. E vincente. Sarebbe potuto tornare a Milano con la squadra, dopo aver vinto la Champions League, ma nessuno è perfetto. Il bello è che due giorni dopo, era a cena a casa mia. Anche il tipo di organizzazione di Mourinho ricordava quella del Mago, che era veramente unico. Dicevano a papà che gli dava uno stipendio troppo alto e lui replicava: il Milan ha due tecnici, Viani e Rocco, io uno solo che prende come due. Erano spettacolari anche gli allenamenti di Herrera: voleva che si andasse in porta con tre passaggi. Al quarto fischiava e faceva ripetere tutto“.

Sulla gestione post Triplete parecchi tifosi lo hanno accusato di non aver ceduto prima i pezzi pregiati della rosa per rinnovare la squadra: “Non capisco come si possa sostenere questa tesi, nei confronti di giocatori che per noi sono stati fondamentali per anni. Campioni e uomini eccezionali, mai li avrei ceduti, nemmeno Milito, per le parole dette a Madrid. Non avrebbe avuto senso, perché davanti a tutto c’è il bene della squadra. E con tutti loro abbiamo vinto il Mondiale“.

Un sogno rimasto tale, per Moratti rimane Francesco Totti, di cui svela un retroscena: “Ero a Roma con il presidente Sensi, nel 2007; stavamo chiudendo per Chivu e gli buttai lì: se per caso vuoi cedere Totti, devi solo indicare la cifra. Ma lui senza nemmeno pensarci un secondo, mi aveva risposto: no, Totti resta qui, non lo cederò mai. E aveva ragione, anche se da noi Totti avrebbe vinto il Triplete, perché è un giocatore straordinario, cattivissimo in campo quando ci affronta, ma gentilissimo prima e dopo”.

Infine sul nuovo corso dell’Inter e sul nuovo presidente Thohir, a cui lancia un messaggio: “Non ho mai pensato di essere un presidente a vita e quando ho capito che era necessario cambiare, per ridare spinta alla società, ho deciso di cedere la maggioranza. Thohir è giovane, ha voglia di fare e di fare bene. La sua famiglia ha grandi disponibilità economiche; vuole comandare ed è giusto così. Con mio figlio e con Ghelfi abbiamo lasciato le cariche che avevamo perché si era creata una situazione non molto simpatica. Il silenzio dei dirigenti dopo le parole di Mazzarri su di me non è stato bellissimo. Ma sono amico di Thohir e questo episodio non ha incrinato i nostri rapporti che restano ottimi. Credo che ormai abbia capito che l’Inter è un club diverso da tutti gli altri. Unico. E vale per tutti: dirigenti, allenatori, giocatori. I tifosi interisti sono molto competenti, ma anche esigentissimi e non contemplano la modestia. Chi segue o fa sport ai massimi livelli non può puntare al decimo posto. Una volta un tifoso per strada mi ha detto: bisogna spendere di più. Aveva ragione. La scelta di Mancini, che è di Thohir e che a me è piaciuta, va in questo senso, così come mi è piaciuto che Mancini abbia parlato del terzo posto come di un obiettivo anomalo“.

Fabio Colosimo

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Nato a Roma nel 1984, dopo la facoltà di Scienze Politiche il salto nel giornalismo sportivo con una collaborazione triennale con Canale Inter.