Una è la competizione calcistica più antica nel mondo calcistico capace di riempire gli stadi di tutta l’Inghilterra (nata nel 1872, ben 16 anni prima del campionato), l’altra è una competizione considerata minore in cui fare turn over a meno che non si arrivi in finale. La differenza tra la Coppa d’Inghilterra, la celeberrima Fa Cup e la nostra Coppa Italia è uno tra i contrasti più stridenti nel mondo del calcio

Nella formula utilizzata c’è un fattore che spiega la differenza di fasciano. La coppa d’Inghilterra non prevede alcun meccanismo di teste di serie, per favorire le grandi squadre, se non il fatto di far entrare in gioco a gennaio inoltrato, ovvero al 3° turno; è inoltre previsto il sorteggio casuale degli incontri e degli stadi in cui si disputeranno, un ulteriore match a campi invertiti e a pochi giorni di distanza (il cosiddetto replay) in caso di parità e la partecipazione di tutte le squadre dei campionati minori (fino alla terza divisione), infine il fatto che spesso si interrompe il campionato e si gioca nel weekend per dare spazio allo spettacolo della coppa. Per la nostra coppa nazionale, invece, sono previste 8 teste di serie (le prime 8 classificate del precedente campionato di serie A) che entrano in gioco solo dagli ottavi, una sola partita secca (con eventuali supplementari e rigori) e la possibilità per le teste di serie e per le altre squadre di serie A (in gioco dal 4 turno) di giocare in casa, chiaramente il tutto in turni infrasettimanali.

L’unico punto di contatto sembra essere la finale che si gioca nello stadio “nazionale”, solitamente di domenica, peccato che da noi da qualche stagione si giochi all’Olimpico di Roma, che è già lo stadio di due squadre, causando spesso problemi di ordine pubblico, mentre in Inghilterra per la finale gli occhi sono puntati su Wembley Stadium, che durante l’anno è operativo solo per le partite casalinghe della nazionale dei tre leoni.

Ma facciamo un passo indietro, da cosa viene questa esigenza di confronto tra le due coppe? Nei mesi di gennaio e febbraio queste due competizioni entrano nel vivo e, da anni ormai, sembra essersi creato un solco sempre più profondo tra queste due realtà, tendenza confermata anche quest’anno.

La differenza nella formula, con quella inglese che garantisce maggior spettacolo e un gran numero di possibili varianti, tuttavia, può spiegare solo in parte le differenze profonde: i numeri ci aiuteranno nella nostra analisi

La FA Cup da sempre è vetrina per squadre minori che, spinte dal desiderio di rivalsa e da enormi motivazioni (nonché dai canti di stadi sempre gremiti), lottano con le strapotenze della Premier League, rievocando l’immagine del piccolo Davide che con la fionda e l’astuzia abbatte il gigante Golia. In questa stagione Chelsea e Manchester City, che stanno dominando il campionato, sono state sconfitte in casa e quindi eliminate nella corsa verso Wembley da reatà minori quali Bradford e Middlesbrough e quelle che sono passate (come Manchester United e Liverpool) hanno faticato fino al replay con Cambridge United e Bolton. Se da un lato, immaginare di riempire uno stadio con meno di 10.000 posti per le realtà minori è piuttosto semplice, quando si tratta di ospitare coloro che hanno scritto la storia del calcio nazionale e mondiale, dall’altro i dati sembrano confermare la tendenza anche per i club più blasonati.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Un contrasto umiliante

I numeri di questa stagione di FA Cup sono strabilianti, entro il quarto turno (sedicesimi di finale) si parla di 515,229 spettatori totali, con una media presenze di 25,761 spettatori a partita, la più alta dalla stagione 1977-78. Un afflusso enorme di persone se si pensa che molte di esse sono state disputate in stadi con capienza inferiore ai 10.000, pur registrando dei tutto esaurito, come nel caso degli 8.000 spettatori dell’Abbey Stadium di Cambridge. I picchi importanti si sono verificati negli stadi più rinomati del paese: si va dai 41.014 di Stamford Bridge, ai 44,836 dell’Etihad, fino al record dei 74.511 accorsi ad Old Trafford per il replay tra Manchester United e Cambridge (partita con il più alto incasso stagionale per la competizione).

In Italia questa cultura della Coppa nazionale non c’è.  Nel quarto turno i numeri sono stati pessimi, circa 22.000 spettatori totali, per una media di meno di 2000 a partita. Agli ottavi le cose sono migliorate (era difficile fare peggio), con l’ingresso delle “big” anche se i numeri rimangono molto distanti da quelli inglesi, nonostante si parli già di una fase più avanzata della competizione. Eclatanti sono i casi di Milan-Lazio (valida per i quarti di finale) dove solo 9.000 spettatori circa si sono recati a San Siro, che invece ha capienza superiore agli 80.000 posti; pochi, troppo pochi, gli spettatori per un evento che, potenzialmente, ha una portata molto elevata, se si pensa al fatto che stavano affrontando due squadre in lotta per un posto in Europa. Numeri analoghi si sono registrati per le prime partite casalinghe anche di Fiorentina, Roma e Inter, senza contare sul fatto che le cosiddette “piccole” squadre, sono rimaste ai margini, eliminate (talune anche ingiustamente) prematuramente, come dire che da noi episodi come quelli del Cambridge e del Bradford non solo sono irrealistici, ma proprio impensabili.

Un’eccezione rilevante è rappresentata dalla Juventus, che ha fatto registrare 39.302 presenze per la gara degli ottavi di finale contro il Verona allo Stadium (più della somma delle presenze nelle gare del quarto turno e le prime tre degli ottavi di finale, ovvero 36.566), un tutto esaurito che è valso alla società di Corso Galileo Ferraris 326.655 euro in termini di incasso

Nicolò Manfredonia

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