“Volevo un programma nuovo per il futuro, un programma che oggi ancora non c’è”. Sono passati sette mesi da quando perse le elezioni per diventare il nuovo presidente della Figc, ma Demetrio Albertini non ha cambiato idea su Carlo Tavecchio e sulla Federazione: “Volevano l’unione delle leghe, ma quel progetto si è sfaldato dopo pochi mesi. Non bisogna solo pensare ai soldi dei diritti tv – ha ammonito l’ex metronomo del Milan – perché il futuro passa dalla condivisione di un progetto sportivo. Il tifoso va salvaguardato, la passione dei tifosi è un bene preziosissimo”. Tra le figure non brillantissime della Figc negli ultimi mesi, c’è stato anche l’acquisto di un numero spropositato di copie del libro di Carlo Tavecchio: “Avrei preferito investire in partite per promuovere i nostri giovani. Anche negli Usa hanno capito che bisogna investire nella formazione dei giovani, noi la stiamo accantonando”.

Al centro del dibattito pubblico è tornato – per l’ennesima volta – il tema degli oriundi in Nazionale, dopo le convocazioni di Conte (che ha portato in azzurro Eder e Vazquez) e le parole di Mancini, che vorrebbe un’Italia fatta solo di italiani: «Vogliamo una Nazionale competitiva, ma non abbiamo giocatori nei grandi club. Ci troviamo in un momento storico – ha sottolineato Albertini a Gazzetta Tv – dove tante cose sono cambiate. Penso che chi ha passaporto italiano sia eleggibile, quindi è giusto convocarlo”.

Apertura agli oriundi in Nazionale sì, ma solo a fronte di una maggior valorizzazione dei giovani italiani nei club di Serie A. Cosa che al momento non avviene abbastanza: “Ai miei tempi bastava lavorare due anni con un giovane per farlo maturare. Nelle ultime stagioni sono stati tesserati 2.500 giocatori stranieri. Questo ci fa capire che no, i club non vogliono investire sui vivai”.

Uno dei più grandi talenti usciti da lì negli ultimi anni, Mario Balotelli, rischia però di perdersi per strada: “Difficile parlar male di Mario per alcune situazioni, è un bravo ragazzo. Ma purtroppo c’è un rischio grossissimo – ha detto Albertini – che entri a far parte di quei giocatori di cui, una volta che avranno smesso, si dirà: “Poteva fare di più”. Ha l’età giusta per circondarsi di persone che possano aiutarlo nel calcio, ma lui si fida solo di persone esterne. Scappa dalle responsabilità, cambiando sempre squadra nel momento di difficoltà. La storia dell’elicottero per dare l’anello a Fanny prima del Mondiale? È vera, ma gli ho detto che non si poteva e ha capito. Il problema è che forse certe cose non dovrebbe nemmeno chiederle”.

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25 anni, milanese, giornalista professionista freelance. Liceo classico, studi umanistici e poi il master in giornalismo alla Walter Tobagi. Ho lavorato per Sportmediaset, Telelombardia, Goal.com, Datasport e Milanotoday.