Living wage. La contraddizione più evidente in un campionato ricco e prestigioso come la Premier League, è la netta disuguaglianza tra i ricchissimi stipendi concessi ai calciatori, specie di chi milita nella fila delle big del calcio inglese, e i salari dei lavoratori dipendenti, per i quali, oggi, è a rischio anche il contributo minimo per “premiare” una dura giornata lavorativa passata nello svolgimento delle più svariate mansioni. Lo scriveva anche C&F non molto tempo fa, rilevando quello che è, a tutti gli effetti, un problema sociale di non poco conto.

La “rivoluzione”, tuttavia, è già cominciata: secondo quanto informa il Daily Mail infatti, il Manchester United, da luglio, e in anticipo di un anno, si unirà al Chelsea per garantire il living wage, il salario di sussistenza, a tutto il suo staff dipendente. Il processo si completerà a partire dalla stagione 2016-17: nel meeting che ha coinvolto i 20 club della Premier, è stato stabilito infatti che ogni lavoratore full time sarà pagato 7,85 sterline l’ora, secondo la tariffa ufficiale, e 9,15 se di base a Londra, a partire dall’estate 2016.

Una battaglia, quella per garantire dignità e rispetto allo staff dei club inglesi, durissima e intrapresa già nel 2011 dalla Fondazione Living Wage, che avviò una campagna strutturata nel tentativo di moderare un’ingiustizia fin troppo evidente: perché alla base della piramide del football, quella fatta da persone impiegate nella ristorazione, pulizie, manutenzione e sicurezza, l’impegno, nonostante una ricchezza in crescita in termini reddituali, non garantisce né lo stipendio né il diritto a percepirlo.

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Nato a Roma nel 1984, dopo la facoltà di Scienze Politiche il salto nel giornalismo sportivo con una collaborazione triennale con Canale Inter.