Questa è una di quelle storie che i giornali si divertono a chiamare “favola”, o “miracolo”. Nel tentativo di uscire da certe abusate definizioni, non si può comunque restare indifferenti alla storia, di campo e finanziaria, del Bournemouth. Ovvero, alla storia di un piccolo club inglese del Dorset che all’inizio degli anni Settanta adottò la maglia rossonera per imitare quella gloriosa del Milan, che nel 2009 aveva debiti e una penalizzazione in classifica di 17 punti e che il prossimo anno giocherà in Premier League.
Di certo, un record c’è già: per il club è la prima volta nella massima serie dal 1899, anno in cui fondato con il nome di Boscombe Fc. Una squadra che è fortemente legata alla propria storia, alle tradizioni: nel 1910 fu il presidente del club Cooper Dean a donare i terreni dove ancora oggi gioca la squadra, che venne chiamato Dean Court. Ad oggi, la struttura conta 10.700 posti e sarà il secondo più piccolo della storia nella massima divisione inglese. La storia compare anche nel logo e sulle maglie del club. Nel simbolo compare il profilo di un giocatore: una dedica a Dickie Dowsett, storico attaccante del Bournemouth degli anni Cinquanta/Sessanta. Nel 1971 la maglia, che fino a quel momento era stata bianca e nera, divenne rossonera in onore del Milan. Per rendere il club più commerciale, il nome venne cambiato in Bournemouth Afc, anche se tecnicamente ancora oggi risulta registrato come Bournemouth e Boscombe Athletic Football Club.
La crisi economica e il primo supporters’ trust inglese
I problemi, per il Bournemouth, cominciano il 5 maggio del 1990. Ultima giornata di campionato di Second Division, quella all’epoca è la seconda divisione inglese prima della riforma della Premier. Il club rossonero ospita il Leeds United, che gioca per la promozione. Il Bournemouth, invece, se perde è retrocesso. La mattinata è già piena di tensione in città. Una tensione che esplode dopo la vittoria del Leeds e la relegation del club di casa in Third Division. A causa degli scontri in città e dei danni riportati nel fine settimana, che ammontarono a 1 milione di sterline, la questione arrivò fino al Parlamento e la polizia locale vietò le partite in casa al Bournemouth nei giorni festivi per oltre 10 anni. Erano gli anni in cui l’Inghilterra cercava di mettere un freno agli Hooligans con il Public Order Act emanato nel 1986 (l’anno dopo l’Heysel) e il Football Spectators Act di 3 anni dopo (quando ci furono i controversi fatti di Hillsborough).
Al Dean Court si tornò a giocare nel settembre 2003, ma il danno era fatto, perché il club non potè contare per molto tempo sugli incassi regolari del proprio stadio, andando pian piano incontro ad una crisi finanziaria che fece capolino a metà anni Novanta. Già nel 1996/97 il club, come molti altri delle serie inferiori, era messo male. Tanto che il board se ne andò a dicembre del 1996, mentre il club lavorava con il local council per riceve supporto sul progetto di un nuovo stadio e la Lloyds Bank estendeva il debito di circa 2,5 milioni di sterline. Tutto sembrava perduto, ma ci pensarono i tifosi a salvare il club: servivano 300mila sterline per mantenerlo iscritto al campionato. Ci pensò Trevor Watkins, un impiegato nel ramo assicurazioni e tifoso dei Cherries, a chiamare a raccolta i tifosi con un appello radiofonico. Alla sede del club arrivarono secchi da 35mila sterline ciascuno, che furono chiusi nell’auto di Watkins, sorvegliati per tutta la notte e depositati al mattino successivo, non appena la banca aprì. Il Bournemouth potè finire la stagione e venne così a formarsi il primo supporters’ trust del calcio britannico.
Nel febbraio del 2008 i problemi economici fecero subire al club una penalizzazione di 10 punti, che causò la retrocessione in League Two, quella che corrisponde alla vecchia Serie C2 italiana. Il club si ritrovò con 4 milioni di sterline di debiti e la possibilità di scomparire: la Football League minacciò il club di escluderlo dalle competizioni, cancellandolo di fatto, se non avesse dimostrato di poter soddisfare i requisiti minimi economici per l’iscrizione al campionato. Il Bournemouth riuscì ad accedere al campionato, ma con una penalità di 17 punti in classifica, per non aver rispettato le regole di insolvenza della Football League.
The Great Escape e la risalita verso la Premier
Dalla possibile sparizione al Great Escape: così i tifosi ricordano la stagione 2008-09, conclusa con la salvezza dopo una rincorsa durata un’intera stagione. Mentre sul campo la squadra lottava, ad inizio stagione un imprenditore locale, Andy Murry, annunciò di voler acquistare il 50% del pacchetto rossonero, ma a gennaio 2009 non rispettò la scadenza per il versamento della prima tranche dei pagamenti. La squadra riuscì a salvarsi grazie al 2-1 sul Grimsby Town per 2-1 che è rimasta nella storia del club. Andy Murry arriverà a comprare il club, ma assieme ad una cordata di altri imprenditori, alla fine di quella stagione.
Da quel momento, una scalata fino al 27 aprile 2015, giorno in cui il Bournemouth ha battuto 3-0 il Bolton, assicurandosi la Premier. E un ricco bottino. Come Calcio&Finanza ha già analizzato per il caso del neopromosso Watford – club di proprietà della famiglia Pozzo – anche i rossoneri possono mettersi in tasca fino a 100 milioni di euro, soprattutto grazie ai diritti tv (dai quali ne ricaveranno circa 70). Non è un caso, ad esempio, che già nella passata stagione alcuni club di medio livello come Newcastle ed Everton abbiano goduto dei ricchi bonus derivanti dal comparto broadcasting, entrando nelle 20 squadre con i ricavi più alti in Europa della Football Money League di Deloitte.
Il misterioso Demin
Proprietario del club, come si conviene a molte squadre del calcio di oggi, è un russo. Di Maxim Demin si sa molto poco. Businessman impegnato nel settore petrolchimico, nel 2011 ha acquistato metà del club per 850mila sterline: la seconda metà la prese l’anno successivo. Vive in Svizzera, sebbene abbia speso 5 milioni di sterline per acquistare una magione sul mare nella penisola di Sandbanks, nel Dorset. Non rilascia interviste, allo stadio si vede raramente anche se il Guardian si augurò, dopo la vittoria del Bournemouth in Fa Cup contro il Liverpool nel gennaio 2014, di vederlo “alla luce del sole”. L’unica sua compagnia inglese, la Wintel Petrochemicals, fa capo ad una società registrata nel paradiso fiscale di Guernesey.