Puma, azienda fondata da Rudolf Dassler, fratello del proprietario dell’Adidas, ha chiuso il primo trimestre 2015 con un risultato negativo per quanto concerne i profitti ovvero, con un -30% rispetto al primo trimestre 2014.
E così, mentre la “sorellastra” Adidas, del fondatore Adolf Dassler, chiude il primo trimestre 2015 pari a 221 milioni di euro, con un incremento di oltre l’8% rispetto ai 204 milioni che l’azienda ha conseguito nello stesso periodo dello scorso anno; la Puma invece si ritrova con un risultato completamente diverso che porterà sicuramente a degli interrogativi sulle prossime strategie commerciali.
Come già accennato in precedenza, la Puma ha registrato nel primo trimestre 2015 un utile netto di 24,8 milioni di euro. Tale risultato, anche se può sembrare discreto, in realtà esso non lo è in quanto dimostra che ha registrato un profitto del 30% inferiore rispetto ai 35,6 milioni guadagnati dalla società nello stesso periodo del 2014.
Dietro a questo preoccupante risultato, potrebbe esserci anche l’addio di accordi vantaggiosi, dal punto di vista del merchandising, con club come l’Olympiacos o con nazionali come quella del Cile.
Il 30% in meno di profitti rispetto all’anno precedente ha però indotto l’azienda tedesca ad effettuare il famoso profit warning ovvero ha comunicato alla Borsa che i profitti del primo trimestre del 2015 sono stati inferiori alle attese. Tale comunicazione ha prodotto al crollo delle azioni dell’azienda tedesca pari al 6%.
Nonostante il profitto trimestrale non abbia disatteso gli analisti di mercato e l’azienda stessa, il fatturato la Puma è riuscita a raggiungere durante i primi tre mesi del 2015 è stato ottimo. Infatti, essa ha registrato un aumento del 13% rispetto al primo trimestre del 2014, passando da 725 a 821 milioni di euro.
Rispetto ad Adidas, dove i maggiori ricavi in termini di vendita si sono registrati in Cina, Europa Occidentale e in Nord America, per la Puma le vendite sono aumentate in tutto il mondo. Infatti, la Puma è stata in grado di aumentare i ricavi in Europa, Medio Oriente e Africa facendo registrare un +1,3%, nelle Americhe con un +22,9% nelle Americhe e in Asia con un +24,5% nella regione Asia Pacifico.