Per la seconda volta dall’inizio dell’anno la famiglia Glazer – proprietaria del Manchester United – ha fatto sapere attraverso la stampa inglese di non aver intenzione di vendere al miglior offerente i naming rights di Old Trafford.

Una operazione simpatia che – se da una parte non può che incontrare il favore dei tifosi – non smuove la diffidenza dei supporter dei Red Devils, da sempre critici nei confronti della famiglia americana proprietaria del club da un decennio.

Ciò che lascia perplessi i tifosi è in particolare la mancanza di una vera e propria offerta formalizzata, a fronte di una cifra ventilata – 20 milioni di sterline l’anno pari a 28 milioni di euro – che rappresenterebbe un record mondiale, superando anche i 300 milioni di dollari in 10 anni che Jp Morgan versa dal settembre 2010 per il Madison Square Garden di New York (sono 26,8 milioni di euro l’anno, ovvero 19,4 milioni di sterline).

Difficile paragonare in termini matematici e di valore la cifra con i 400 milioni di sterline per dieci anni che l’Etihad versa al City, soprattutto considerando che l’azienda è di fatto proprietaria del club (e per questo l’intesa finì sotto la lente del fair play finanziario Uefa) e che nell’intesa erano inclusi il prolungamento del contratto di sponsorizzazione sulla maglia e lo sviluppo di Etihad Campus, il nuovo centro sportivo dove sorge tra l’altro l’Academy stadium, campo di gioco della squadra femminile e del settore giovanile.

Interessante invece è lo studio di American Appraisal, che un anno e mezzo fa stimò il valore potenziale di tutte le arene della Premier league basandolo su alcuni dati oggettivi come gli accordi in essere, le sponsorizzazioni delle maglie e le performances delle ultime cinque stagioni del club.

Secondo lo studio l’80% del valore complessivo dei naming rights in Premier si sarebbe dovuto dividere solo tra i primi 6 club mentre gli ultimi 7 (attualmente di questi Cardiff e Norwich non stanno più in Premier) si attestavano sotto il milione di euro annuo a testa. Non è un caso se da allora anche il Liverpool (alle prese con la ristrutturazione di Anfield) ha valutato l’ipotesi di un nome sponsorizzato per il suo storico stadio.

Il mercato annuale potenziale dell’intera lega inglese venne stimato in 75 milioni di sterline (più di 100 milioni di euro). I Glazer quindi stimerebbero per la loro arena una fetta vicina ad un quarto del totale.

Old Trafford rimane pur sempre lo stadio con la maggiore capienza della Premier League con i suoi 75.800 posti a sedere e quello di maggior prestigio nel Paese dopo Wembley: scelto anche per le Olimpiadi 2012 e ultimo stadio del Paese – eccezion fatta per il mitico stadio londinese – ad ospitare una finale di Champions League nel 2003.

Ma quali sono i contratti più redditizi al mondo in tema di naming rights?

La formula ha molto successo soprattutto negli Stati Uniti dove del resto non esistono le sponsorizzazioni di maglia, mentre in Europa finora si conoscono soprattutto accordi misti che includono anche lo sponsor sulla maglia e talvolta partecipazioni nel club. Lo stesso accordo Allianz-Bayern (110 milioni annunciati ad inizio dicembre 2014) si inserisce in un più complesso quadro di relazioni tra l’azienda e la società bavarese, assicurando comunque il nome allo stadio fino al 2031. Al momento della firma il Bayern dichiarò anche che quei soldi sarebbero stati destinati all’abbattimento del debito della società.

Tra i dieci contratti più onerosi firmati per dare il nome ad uno stadio di proprietà di un club (non figura quindi quello del Madison incarico ad una apposita società di gestione e non da un club sportivo) spicca come si vede nel grafico l’intesa ventennale che i Dallas Cowboys hanno con At&T, società di telecomunicazioni che garantisce alla società NFL 360 milioni in 20 anni.

Un altro accordo significativo fu quello da 358 milioni di euro che Citi Group firmò con i New York Mets (al tempo) nel 2008 nel bel mezzo dell’inizio della crisi: una mossa che al tempo venne letta come manifestazione di forza da parte dell’istituto. Da allora le banche sono state sempre più interessate a questo tipo di sponsorizzazione.

Sono infatti le aziende del settore finanziario a garantire i migliori accordi. La già citata Allianz è quella che ha puntato maggiormente su questa strategia pubblicitaria visto che oltre all’astronave bavarese ha sottoscritto accordi anche per l’Allianz Riviera di Nizza, uno dei dieci stadi del prossimo europeo di Francia del 2016 e per il nuovo stadio del Rapid Vienna, con 24 mila posti a sedere, è attualmente in fase di costruzione e programmato per l’anno prossimo.

Negli Stati Uniti dove la sponsorizzazione attraverso il nome delle arene è più radicata che in Europa, si è stimato che dal 1998 le banche avrebbero investito oltre 2 miliardi di dollari nelle denominazioni degli impianti. 

Tra gli istituti europei la Barclays, che recentemente ha fatto sapere di non essere interessata a rinnovare con la Premier League di cui è main sponsor, garantisce 179 milioni di euro in 20 anni ai Brooklyn Nets, una delle ultime franchigie ammesse al campionato NBA.

 

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Un bresciano a Manchester. Tra giornalismo economico e football scouting