Si pensava e si sperava che il Mondiale brasiliano, come ogni grande evento che si rispetti, avrebbe cambiato le cose. Che si sarebbe stato un bell’impulso all’economia, ora che il calcio è diventato anche business. Invece in Brasile, a meno di un anno dal Mineiraço che ha falciato dalla Coppa del mondo la Seleçao brasiliana, una delle patrie globali del pallone sta per scoppiare.

Dei maggiori 12 club del Brasile, 8 fanno fatica a pagare regolarmente gli stipendi: anzi, molti sono indietro diversi mesi. Se anziché essere club di calcio fossero aziende, parleremmo di bancarotta, scrisse qualche mese fa il New York Times, in una dettagliata inchiesta sui debiti del calcio brasiliano. Ora che siamo a giugno le cose non sono migliorate. Tanto che nel frattempo l’economia del Paese è di nuovo scesa verso il baratro della recessione e il presidente Dilma Rousseff, dopo l’annuncio, è passata ai fatti , facendo approvare una specie di Fair Play Finanziario in versione brasileira.

“Il Brasile sta vendendo il proprio futuro”

Che le squadre europee fossero accusate spesso in Sudamerica di andare sotto l’Equatore per depredare i club dei giocatori migliori, è cosa nota da anni. E d’altro canto, sono stati pochi i giocatori che hanno faticato a resistere al fascino del Vecchio Continente: da Zico a Maradona, da Tevez a Neymar, sono numerosi gli esempi di stelle sudamericane che prima o poi hanno deciso di attraversare l’oceano. Tutti casi però di calciatori cresciuti prima nei rispettivi Paesi. Oggi la tendenza sempre più frequente è quella di prelevare i giovani sempre più presto. La motivazione è da ricercare proprio dei debiti del calcio, in particolare quello brasiliano.

Ormai, di calciatori free agent ce ne sono rimasti pochi. La maggior parte sono in mano a fondi d’investimento e club, che ne accelerano la vendita ai club europei per poter navigare meglio tra conti messi davvero male: il debito complessivo dei club, che hanno consegnato le relazioni finanziarie dell’ultimo anno lo scorso aprile (prima della partenza del campionato il 9 maggio), supera la cifra di 1 miliardo di euro. E tutto fa brodo, quindi. Tanto che se una volta il Santos poteva permettersi di vendere Neymar a cifre importanti (57 milioni di euro), oggi sono le promesse della futura nazionale verdeoro, quella che dovrà vendicare il Mineiraço del 2014, ad andarsene. E non solo in Europa: va bene anche il nuovo (e ricco) mercato cinese.

Prendiamo il Cruzeiro, club diventato famoso in Europa per aver dato i natali calcistici a Ronaldo. Dopo aver vinto il campionato brasiliano sia nel 2013 che nel 2014, i debiti ne hanno minato il bilancio. Tanto che la società che gestisce la Minas Arena, lo stadio dove gioca il club di Belo Horizonte e divenuto famoso al Mondiale 2014 per la sconfitta rimediata per 7-1 dal Brasile contro la Germania, ha contestato al club un credito di 1,4 milioni di euro per spese di gestione, che però il Cruzeiro contesta e non intende pagare.

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Il Mineirao di Belo Horizonte: il Cruzeiro ha debiti per 1 milione di euro di sue spese gestione

Si parlerebbe di maledizione del Mineiraço, se non fosse tutto tremendamente vero. Perché il credito vantato dalla società che gestisce l’Arena sarà anche sbagliato, ma il club ha ceduto nell’ultimo mercato due calciatori importanti come Ricardo Goulart ed Everton Ribeiro, rispettivamente ai cinesi del Guangzhou Evergande a all’Al Ahli di Dubai, entrambi per 15 milioni di euro. Due future possibili stelle della Seleçao, che altro non fanno parte della schiera di 1200 calciatori di cui è stata stimata la partenza verso altri Paesi dal Brasile.

“Il Brasile sta vendendo il proprio futuro”, ha spiegato al Nyt Amir Somoggi, consulente di sport management di San Paolo. Un’altra città il cui club non naviga in acque tranquillissime. I debiti sfiorano i 30 milioni di euro. Non solo, ma mancano anche i soldi degli sponsor: la Toshiba già nell’aprile del 2014 aveva annunciato che avrebbe lasciato il club, come d’altronde previsto dal contratto biennale siglato nel 2012 a 23 milioni di reais, circa 6,5 milioni di euro. Niente sponsor e niente opportunità di espandere il marketing: la Toshiba aveva installato uno store monomarca all’interno dello stadio Morumbi.

L’intervento del Governo, a metà tra legge spalma-debiti e Fair Play Finanziario

Per restare in piedi, molti club sono riscorsi a prestiti bancari che hanno sfiorato il 30% di interessi. E poi ci sono i debiti nei confronti del Fisco. In Brasile i club godono di una posizione privilegiata per cui pagano poche tasse, ma anche quel poco spesso e volentieri è stato rimandato, preferendo indirizzare gli investimenti sugli acquisti, a volte esageratamente cari: vedi alla voce Pato, preso dal Corinthians per 15 milioni di euro e poi sbolognato in prestito al San Paolo.

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Per questo, nei mesi scorsi, il Governo si è mosso per cercare di risolvere quello che per il Brasile è una questione nazionale. La Rousseff ha elaborato una legge ad hoc, passata attraverso il vaglio del Senato. Ora i pagamenti potranno essere rateizzati fino a 20 anni. In cambio, i club però si obbligheranno a migliorare la loro gestione economico-finanziaria, garantendo tra l’altro la regolarità dei versamenti degli stipendi dei giocatori. Le squadre che ritarderanno le buste paga potranno perdere punti in classifica, come già succede in Europa.

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Classe 1984. Siciliano di nascita, romagnolo d’adozione, giornalista sportivo per vocazione. Tanta stampa locale (Corriere di Romagna, Resto del Carlino), poi il salto a Milano: master “Tobagi”, Sky.it, Libero, Linkiesta, Pagina99.