Ricomincia oggi il cammino europeo del West Ham che affronta ad Upton Park la formazione dei Lusitanos di Andorra per il turno eliminatorio di Europa League. Calcio d’inizio alle 19.45 e ultimo anno di servizio per lo storico stadio degli Hammers, che dalla stagione 2016-2017 entreranno allo stadio Olimpico costruito per Londra 2012 ed a loro aggiudicato dal comune londinese (dopo una battaglia legale con Tottenham Hotspurs e Leyton Orient), ma soprattutto: sold out al primo colpo. Tutto esaurito, andati letteralmente bruciati i 35 mila tagliandi disponibili.

Accade anche questo oltremanica, dove il calcio continua – dal punto di vista organizzativo – ad incamerare successi e stabilire record. Impensabile da noi, basti confrontare il tutto esaurito di Boylen Ground con le affluenze (ma soprattutto le percentuali di riempimento dello stadio) che Fiorentina e Napoli hanno realizzato in occasione delle semifinali della stessa competizione lo scorso anno.

Un calcio che, nonostante le delusioni europee dello scorso anno, quando l’Inghilterra ha stabilito la peggior performance in termini di ranking dell’ultimo decennio, rimane un modello dal punto di vista organizzativo.

Un legame dettato non tanto dalla passione – quello che unisce i tifosi alla loro squadra – quanto dall’appartenenza, che è passione con qualcosa di più. Seguire la propria squadra allo stadio è un rito che sottolinea il legame con il club. Le differenze con l’Italia? Facile: al di là dei grandi proclami sul valore sociale le società di calcio sono percepite come qualcosa di cui qualcuno è proprietario e qualcun altro spettatore. Essenzialmente la differenza è questa.

Il club non è la “cosa” di proprietà del mecenate. E’ l’espressione di una comunità, una commistione di valori, che calamita interesse attraverso appuntamenti rituali, stagionali e continuativi. Non è un caso se su Boylen Ground, che – dopo il passaggio del club all’Olimpico di Londra – lascerà il posto a 863 appartamenti costruiti da Galliard Group, la polemica maggiore sia stata quella relativa all’esiguo numero di appartamenti destinati al “social housing”.

Ed è per questo che spesso – analizzando questi fenomeni assai radicati nel costume di un popolo e tramandati da generazione – si ha l’impressione che in Italia oltre a cambiare gli impianti sia proprio il rapporto tra i club e i sostenitori a dover cambiare radicalmente. In termini di servizio, prima di tutto, forse anche in termini di assetto proprietario, certamente in termini di comunicazione e dialogo reciproco.

In fondo – basta vedere le foto d’epoca – la gente non va allo stadio per la qualità architettonica dell’impianto: gli stadi inglesi sono belli perchè pieni, non certo il contrario.

 

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Un bresciano a Manchester. Tra giornalismo economico e football scouting

4 COMMENTI

  1. “Il club non è la “cosa” di proprietà del mecenate. E’ l’espressione di una comunità, una commistione di valori, che calamita interesse attraverso appuntamenti rituali, stagionali e continuativi.”
    come a torino

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