La sconfitta della Roma con l’Atalanta, che ha fatto seguito al tonfo contro il Barcellona in Champions league, ha portato la gestione americana del club al punto più basso della sua parabola. Anche se la squadra rimane (a livello di classifica) in piena corsa scudetto, l’aria che si respira è decisamente pesante. Ma dal tecnico alla società nessuna componente è immune da colpe.
Una ampia analisi di Repubblica e Corriere della sera, questa mattina, mette al centro dell’attenzione ogni aspetto critico.
– bilancio: la qualificazione agli ottavi di Champions vale una ventina di milioni, la partecipazione al torneo dell’anno scorso (eliminazione nel girone) ha portato in cassa quasi 50 milioni. La Roma è sotto osservazione per il Financial Fair Play e, praticamente, in autofinanziamento. La partecipazione alla Champions è fondamentale per fare programmi ambiziosi.
– la curva Sud è in guerra con il club per motivi che alcuni condividono e altri no. Si fatica a superare i 20.000 paganti nelle partite meno importanti, non si fa il tutto esaurito nemmeno in Champions, nel derby o contro la Juve.
– nelle ultime due stagioni la Roma è arrivata seconda dietro alla Juve: non si può certo parlare di fallimento sportivo. Però è venuta totalmente a mancare l’empatia che la squadra giallorossa ha sempre avuto con il suo pubblico, quello del «la Roma non si discute, si ama».
– Pallotta non mette piede a Roma dal 16 giugno scorso (dovrebbe tornare per Roma-Bate Borisov) e può essere controproducente il mettere sempre il modello business davanti a quello sportivo;
– il gioco scadente prodotto da Garcia dopo la prima stagione che aveva «rimesso la chiesa al centro del villaggio»;
– la bulimia del d.s. Sabatini che, fedele alla filosofia del «tutti hanno un prezzo», conduce campagne acquisti che ogni anno fanno ripartire da zero il gruppo in nome delle plusvalenze;
– a questo si aggiunga che la campagne acquisti hanno portato giocatori non richiesti da Garcia. Fatali gli infortuni da gamba non più elastica o gli errori da stanchezza estrema (Digne con l’Atalanta).
– giocatori che tornano indispensabili come Gervinho (con lui 2,4 punti a partita, senza di lui 1 punto a partita). Non dovrebbe mai esserlo. Lui è un di più. Come Salah. Inevitabile (?) tornare sul mercato, due o tre giocatori di livello.
– la sottovalutazione dell’importanza di un gruppo italiano (vedi cessioni di Romagnoli e Bertolacci al Milan);
L’impressione è che Garcia, depotenziato da questa estate, quando il presidente Pallotta gli ha scelto personalmente il preparatore atletico, in questo momento sia un traghettatore fino al termine della stagione. Poi si proverà a convincere Antonio Conte.
Francamente non è un analisi la vostra èun riassunto dei luoghi comuni che si leggono sui giornali. tra l’altro trovo deludente che un sito come il vostro nel pubblicare una cosa simile non dia alcuno spazio alle statistiche e ai confronti. Per esempio non si dice affatto che la presunta distanza della presidenza varrebbe anche per l’Inter, per i Pozzo e Lotito o per Berlusconi e De Laurentis. Non solo questo progetto “fallimentare” sta rimettendo sulla carta del calcio che conta un club che aveva un esposizione di € 350.000.000 con Unicredit e cercando di dare una mentalità vincente ad una piazza che in poco meno di 90 anni ha vinto pochissimo (non solo per demeriti propri) in un campionato il cui sistema di potere è stato sempre orientato a favorire i club del nord. Basta scorrere la lista dei vincitori dei titoli per rendersi conto che i 4 club “meridionali” detentori di scudetti non fanno sommati insieme il numero di titoli vinti da uno solo dei maggioriclub del nord.
So che questi personaggi hanno tutti base in Italia – a parte Thoir – ma non siamo infantili si tratta di figure imprenditoriali di primo piano che andranno pure allo stadio piu spesso di Pallotta (Thoir non direi, comunque) ma non si occupano principlamente della squadra avendo altro business (Lotito oltre ad essere un imprenditore è anche proprietario della Salernitana e i Pozzo possiedono un club di Premier).