Mercato pay tv italiano ad una svolta: dopo le guerre estive tra Mediaset e Sky a tenere banco nelle prossime settimane potrebbero essere le mosse della francese Vivendi. Anche se le cose sembrano complicarsi in Italia per Vincent Bollorè. Le nuove difficoltà si susseguono e oggi La Repubblica Affari e Finanza dedica al gruppo Vivendi una ampia analisi con scenari in cui le scelte strategiche sulle piattaforme più coinvolte nella trasmissione delle partite di calcio hanno un peso decisivo.

Dalle mire sul cda di Telecom, al costo dell’operazione di conversione delle risparmio che lo potrebbe costringere ad attingere altri 1,4 miliardi di euro (ossia quasi la metà di quanto ha finora messo in Telecom) alla pur liquidissima cassa di Vivendi per riportare la sua quota al 20%. Per finire con il nodo Enel che potrebbe impattare in modo non lieve sulle strategie del gruppo di Patuano in merito all’infrastruttura di rete: dal controllo delle nuove connessini in fibra alle prospettive della vecchia rete in rame.

Da come il finanziere bretone verrà affrontando queste sfide analisti e addetti ai lavori attendono lumi su quali siano i suoi obiettivi in Italia.

Se radicarsi come azionista di controllo di una grande telco europea o se puntare invece ad uscirne con il massimo realizzo possibile. O se invece vorrà usarla come moneta di scambio in altre partite più complesse e riguardanti il core business più tradizionale di Vivendi, ossia la tv.

E qui le ipotesi fioccano: dalla più “semplice” di una fusione con Mediaset (tutta, non certo Premium, anzi a Bollorè interesserebbero di più la tv in chiaro e la pubblicità) a quella più complessa di una triangolazione Telecom-Mediaset-Orange-Vivendi. Alle spalle c’è già la chiusura delle trattative con Murdoch per rilevare Sky Europe (troppa la distanza sul prezzo). Tante ipotesi e una sola certezza: di qua e di là delle Alpi, a Roma e Milano come a Parigi, la domanda è una sola: cosa vuol fare Vincent Bollorè? E in subordine: quanto vale per lui la partita italiana? E fino a che punto, ossia fino a quale costo, gli altri azionisti di Vivendi, di cui Bollorè il maggiore ma di cui ha solo il 14,5%, lo supporteranno?

E infine: che influenza avranno in questo gioco i nuovi problemi che Vivendi sta affrontando in queste settimane e che mettono a rischio uno dei suoi core business più tradizionali, ossia proprio la tv?

Canal Plus ha appena perso un tassello importante del suo portafoglio di diritti tv: le partite di calcio della Premier League inglese. Molto viste in Francia. Le ha perse perchè ha offerto meno dei 100 milioni l’anno (per due partite a settimana) offerti da Patrick Drahi, il ceo di Numericable, ossia la società a cui la stessa Vivendi l’anno scorso ha venduto il suo operatore mobile francese Sfr e che ora sta invadendo il suo campo di gioco dei contenuti video.

Per Canal, che sta soffrendo un calo di abbonati, potrebbe essere un colpo duro da recuperare. Anche perché arriva in un momento di transizione: il vecchio management è stato sostituito da Bollorè in estate.

Non ha ancora avuto il tempo materiale di cambiare la rotta delle strategie, ma sarà difficile che questo smacco non venga in qualche modo attribuito agli uomini di Bollorè. Anche perché a settembre il cda di Vivendi aveva varato un piano di investimenti da 2 miliardi di euro per il rilancio di Canal Plus.

Intanto lo scenario competitivo in Francia resta difficile: a inizio anno è arrivata Netflix a fare concorrenza sui film e serie tv, sullo sport si fa sempre più attiva la presenza di BeinSport, la pay tv all sport di Al Jazeera che ha già una parte dei diritti della Ligue1, la Serie A francese.

 

 

Qualche polemica sulle strategie di Bollorè e sul suo impegno in Italia iniziano ad emergere. Le ha portate avanti fin dalla primavera scorsa, per esempio, l’Appac, l’Association Petits Porteurs Actifs, una specie di Asati francese, che rappresenta nel complesso il 3% del capitale di Vivendi e il cui presidente Didier Cornardeau ha a più riprese stigmatizzato l’allontanamento di Bollorè dal core business del gruppo che sembrerebbe penalizzare il titolo.

Ma anche quando Bollorè resta nei confini del core business, per esempio cercando di conquistare due buone società di software e app per videogiochi online, Ubisoft e Gameloft, non gli riesce di tenersi fuori dalle polemiche. Le due società fanno capo ai due fratelli Guillemot e valgono 2,5 miliardi Ubisoft e mezzo miliardo Gameloft. Bollorè le sta scalando in modo ostile, ossia con l’opposizione dei Guillemot. E sta usando lo stesso modus operandi adottato in Italia con Telecom. Compra e poi comunica l’aumento delle sue quote. Ma anche qui ci sono problemi. Di Ubisoft ha l’11% e di Gameloft il 17,3%, come capitale ma i diritti di voto sono inferiori e la partita sembra incagliata. Sono però dettagli che non sembrano pesare. Almeno per ora.

Chi ha frequenti rapporti con il milieu telco e tv di Parigi riporta che il tasso di credibilità di Bollorè presso gli azionisti di Vivendi è ancora alto. Anche se il titolo Vivendi da inizio anno ha perso il 3% mentre il Cac, il Mib francese, veleggia sul +16%. E lo stesso fa il titolo di Group Vincent Bollorè.

Per ora questo viene ascritto a merito del finanziere, anche se va detto che il gruppo Bollorè è parecchio diversificato. Ha il suo cuore finanziario in Havas, uno dei maggiori gruppi di comunicazione, pubblicità e media europei, 2 miliardi di fatturato circa, che Bollorè controlla al 60%. Ma il gruppo del finanziere ha anche in portafoglio il 10% di Gaumont, una maggiori produttori cinematografici europei, si occupa di agricoltura, con il 38% di SocFin Group, che controlla grandi piantagioni di alberi della gomma e di palma da olio, e anche un paio di “domain” di vino in Provenza. Ha una quota del 21% in Big Ben Interactive (accessori per pc, smartphone, tablet e console, quindi vicino alla Ubisoft che sta scalando con Vivendi). Si occupa di energia verde con la sua Blue Solution (vedi box qui sopra) e anche di treni, con un progetto per la realizzazione di nuova linea ferroviaria in Africa, tra Niger e Benin. Si chiama Blue Train e proprio nei giorni scorsi il progetto, che vale 2 miliardi di euro ed è partito nel 2010, ha avuto un brusco stop quando una corte di giustizia del Benin ha accolto il ricorso presentato da un concorrente di Bollorè. In mezzo a tutto questo c’è infine il 7,5% di Mediobanca. E questo può confermare l’impressione che il peso dell’Italia per Bollorè sia forse più importante di quanto non sia per Vivendi.

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