Partite di calcio a Natale. Quali vantaggi, effetti e contraddizioni creerebbe una Serie A che decidesse di imitare la Premier League?

Come ogni anno il campionato inglese si prepara all’abbuffata delle feste natalizie. Da oggi, giorno di Santo Stefano – conosciuto come Boxing Day in Inghilterra – fino al 3 gennaio si disputeranno 3 turni di campionato.

Oggi sono in programma ben 10 partite: un turno intero. Di queste solo 3 saranno trasmesse in diretta tv su territorio del Regno Unito: alle 12.45 Stoke contro Manchester United, alle 17.30 Newcastle – Everton e alle 19.45 Southampton – Arsenal (gli orari riportati sono quelli inglesi, dettaglio non casuale).

Nei giorni scorsi i lettori di C&F si sono espressi chiaramente per avere la Serie A anche nel periodo natalizio, in seguito ad un nostro approfondimento sul tema.

Ma siamo sicuri che alle condizioni attuali una eventuale abbuffata natalizia di calcio italiano sarebbe un affare?

Dimentichiamo per un attimo che in Inghilterra non sono mancate le critiche a questo sistema: l’eccessivo numero di partite e la mancanza di riposo penalizzerebbe poi le squadre più forti al momento della ripresa delle Coppe. Polemiche che – conoscendo la mentalità della Premier e dei tifosi inglesi – rimarranno isolate e senza seguito, ma che certo non mancherebbero in Italia al primo eventuale arretramento nel ranking.

Innanzitutto va considerata una cosa. Giocare il 26 dicembre in Inghilterra è una tradizione che si perde ormai nella notte dei tempi. Il Boxing day si festeggia dal 1871 e di fatto nel dopoguerra la tradizione è sempre stata rispettata. 

Ma non si tratta dell’unica ricorrenza. Il campionato e in generale l’organizzazione hanno una serie di altri riti stagionali che vengono rispettati. Tra questi ad esempio la disputa della Supercoppa nella domenica precedente alla prima di campionato, oppure l’ingresso delle squadre di Premier league in FA Cup a partire dalla prima decade di gennaio.

La ritualità per la Premier league è un elemento fondamentale. Il valore del Boxing day e delle altre tradizioni è qualcosa di costruito nel tempo. A questa ritualità tutto il Paese partecipa ed anche i media sono allineati, si crea una vera e propria narrazione del Boxing day così come del Community Shield: si scrivono articoli con statistiche ad hoc (del tipo: la squadra X non vince o non perde la gara del 26 dicembre sin dall’anno Y) e tutto questo alimenta la discussione.

C’è poi qualcosa che non viene trasgredito mai: le partite che si giocano alle 15 (le 16 italiane) sono rigorosamente bandite alle televisioni. Nessuno in Inghilterra le vedrà, come accade per tutte le partite del sabato alle 15. Allo stesso tempo l’eccezionalità del Boxing day viene riconosciuta pianificando 3 diversi orari tv consecutivi per le partite.

E viene programmato un lunch time match: la partita delle 12.45 (quest’anno Stoke – Man United) che è diventata importante nel palinsesto tv ed è entrata nelle abitudini degli inglesi.

L’Italia ad esempio l’ha copiata tale e quale mettendo una partita alla domenica alle 12.30. In Inghilterra si è scelto quell’orario perchè è abbastanza naturale, in un paese in cui il sabato inizia molto presto al pub, per le compagnie di amici andare a vedere calcio in un orario quasi mattutino.

Ma l’Inghilterra è un paese in cui molti cenano anche prima delle 18 e in cui tutto è spostato indietro di un paio d’ore (non solo il fuso orario) rispetto all’Italia. In cui la gran parte dei pub ancora rispetta la chiusura delle 23.30-24. Non è un caso, ad esempio, che siano molto rari gli incontri di Premier trasmessi alle 19.45 (quello del Boxing day è un’eccezione insieme al Monday night, che non a caso è fissato in un giorno lavorativo che ne precede un altro lavorativo).

Tutto questo per dire che la Premier league quando sceglie le proprie ricorrenze stagionali ragiona prima di tutto sulle abitudini degli inglesi e a queste si adatta. Difficilmente cerca di forzare le abitudini imponendo orari non congeniali alla routine dell’inglese medio.

L’Italia è un paese molto più simile per abitudini alla Spagna dove si gioca anche alle 21.30 o 22 di sera, dove eventualmente avrebbe più senso istituzionalizzare una partita alle 17 o alle 19 della domenica (accade solo sporadicamente alle 18) anzichè in anticipo rispetto al grosso delle gare.

Si pensi alla Serie A: che ragion d’esistere ha la gara delle 12.30 la domenica? E’ stata introdotta per far vedere il campionato in Asia (e Erick Thohir premerebbe per avere più partite in quegli orari), ma non genera nessun appeal da noi. Pianificare l’internazionalizzazione è comprensibile, ma in una scala di priorità un campionato che non vende il 46% dei biglietti che mette in vendita non può non porsi come punto di partenza del proprio sviluppo economico il recupero di tifosi e appeal sul proprio territorio.

Se è vero che nel breve termine le tv garantiscono più introiti è altrettanto vero che a lungo andare una azienda che lega i propri ricavi ad un numero ridotto di clienti (in Italia principalmente i diritti tv e per le grandi i ricavi da Champions League e Europa League) finisce per essere nel lungo periodo un gigante coi piedi d’argilla senza una base diffusa di finanziatori del proprio business (si pensi alle difficoltà di bilancio attuali di Milan e Inter come parziale conferma di questo assunto).

Non si può dire, tuttavia, che l’Italia non abbia i suoi riti. Tra questi la prima giornata che (tranne eccezioni) si gioca prima dell’international break di settembre oppure il fatto che l’Epifania è un giorno tradizionalmente dedicato al calcio.

L’Epifania – teoricamente – è per l’Italia quello che il Boxing Day è in Inghilterra. Ma nessuno sembra accorgersene e questo principalmente per un motivo: non esiste in Italia un marketing strategico, specifico e finalizzato, non c’è nessuna narrazione che enfatizza questa giornata e senza buone narrazioni i miti e le leggende non si creano. Eppure ce ne sarebbe da dire, a partire dal fatto che si tratta della prima giornata dell’anno solare, un rito di passaggio, un nuovo calcio d’inizio.

La Serie A, poi, ha recentemente sprecato una clamorosa occasione. Ricordate la Supercoppa Italiana del 2014? Si giocò a fine anno e fu un successo di pubblico. Quale miglior narrazione di un evento di fine anno in cui si assegna un trofeo ad una delle due squadre vincenti dell’anno? Fu un successo in termini di ascoltatori tv e anche di premi alle squadre (superiori a quelli di quest’anno a Juve e Lazio per la gara giocata a Shanghai).

E’ lecito pensare che una Supercoppa Italiana (chiaro: tanto meglio se uno Juve – Inter o uno Juve – Milan, ma molti sono oggi gli incroci che alzerebbero l’appeal del trofeo) giocata a dicembre nello stadio di una delle due avrebbe un richiamo clamoroso capace di sopperire da sola ad una intera giornata di campionato (in cui, va ricordato, i costi di produzione vanno moltiplicati per 10 rispetto al singolo evento).

Tuttavia la nostra Serie A continua a soffrire di una miopia – se non di una cecità – congenita quando si tratta di individuare opportunità di valorizzazione.

Non è un caso che la Premier league ancora oggi trasmetta solo il 40% delle proprie partite in tv sul territorio inglese (differenziando i pacchetti: ad esempio BT fa una sola partita in media a settimana ma nel Boxing day ne fa 2 e nel periodo natalizio in pratica raddoppia complessivamente le sue trasmissioni dedicate alla Premier) e vende a peso d’oro ogni esclusiva mentre da noi le esclusive di Sky sono le partite che valgono meno e i match di cartello sono invece trasmessi da due piattaforme.

La serie A è rimasta appesa all’abbuffata degli anni 90 quando il 100% delle partite finì sulle pay tv: una strategia assai remunerativa nel breve periodo ma di respiro cortissimo. Come un atleta che decidesse di correre la maratona correndo i primi km con passo da centometrista.

Le richieste dei tifosi – e dei lettori di C&F – per più calcio a Natale, ovvero in generale nel periodo natalizio, hanno certamente un fondamento e non possono passare sotto silenzio.

Tuttavia, pensare che sin dal primo giorno l’aggiunta di uno, due o addirittura tre turni di campionato (come in Premier) in questo periodo sarebbe un successo è un atteggiamento miope. E’ lo stesso errore che commettono quelli che pensano che gli stadi si riempiranno d’incanto il giorno in cui saranno di proprietà (a prescindere da alcuni aspetti architettonici, dai servizi offerti e da altri dettagli attrattivi del caso).

Senza un piano di marketing serio, ponderato e di lungo periodo, non si va da nessuna parte. Nemmeno se si gioca al Boxing day. Perchè il calcio, soprattutto a livello televisivo – e questo la Premier League lo insegna più di tutti – per essere redditizio ha bisogno di eventi molto più che di abbuffate.

 

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Un bresciano a Manchester. Tra giornalismo economico e football scouting

1 COMMENTO

  1. Articolo molto illuminante che condivido in pieno. In fatto di creazione di eventi SKY è sulla buona strada anche in Italia, il problema sono le TV generaliste che nel nostro paese sono rimaste al tempo del transistor. Per modernizzare il calcio italiano ( e lasciatemi dire la società italiana) bisognerebbe stravolgere il sistema televisivo italiano che è un duopolio unico nei paesi occidentali. Il governo del calcio italiano potrebbe fare sicuramente la sua parte con uno svecchiamento che porti anche a un rinnovamento nel modo di pensare il calcio e la società che ne fruisce. Che la modernizzazione dell’Italia non parta proprio dal mondo del calcio.

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