Zinedine Zidane è una scommessa da 2,5 milioni per sei mesi, la metà del salario di Benitez, contratto per questa e altre due stagioni, ma sono solo atti formali, a giugno verrà qualcun altro. Solo cinque madridisti (Lucas, Cheryshev, Casilla, Nacho e Jesé) guadagnano meno del coach.
Ieri il primo allenamento del tecnico francese, ex colonna della squadra nella prima metà degli anni 2000.
Cinquemila tifosi in preda a un’entusiastica regressione infantile: «Facevano un baccano d’inferno», posta Jesé, colpito dal fatto che l’arrivo di Zidane avesse riportato così tanta gente a Valdebebas, tutta pronta a rispolverare antiche trombe o più dozzinali trombette, a produrre schiamazzi d’altri tempi. E’ comparsa persino una vuvuzela. E poi cori improvvisati, urla e sospetti svenimenti per troppa adorazione, sino a chiudere con una voglia matta di autografi.
«Ma al Real non c’è mai un progetto», riconosce l’ex Manuel Pellegrini, cacciato perché arrivò 2° dietro al Barcellona col record di 96 punti.
Effettivamente Zidane non è un progetto, è solo una mezza scommessa per mezza stagione: «Non faccio paragoni con nessuno, non sono Guardiola, sono qui per offrire un gioco offensivo che trasmetta felicità e porti risultati».
Zidane però toglie a Perez un fastidio tecnico ed estetico. Di Benitez («è stato un onore allenare il club in cui sono cresciuto, io madridista e madrileno») non piacevano né gioco né pancia. In estate Perez si augurava di vedere progressi in campo e sulla bilancia. Ma Benitez non ce l’ha fatta. E’ rimasto uno stratega impopolare e un pancione impenitente. Così Perez li ha licenziati entrambi. Zidane almeno sembra ancora un calciatore, accanto a Luis Enrique non sfigura.
«Se sei il Real giochi per vincere tutto, sempre», dice Zidane. Si dice sempre così quando le trombette tornano in scena, quando l’atmosfera si riempie di baci immaginari. Ma l’amore ritrovato e le avversarie sono due cose diverse.