Vent’anni di cattive abitudini del calcio passati al microscopio, che hanno prodotto il vento del rinnovamento che ha portato all’elezione di Gianni Infantino a nono presidente, in 112 anni, della potentissima Federcalcio mondiale (Fifa).

Con la prefazione di Fabio Genovesi e i contributi di Mario Gerevini e Gianni Santucci, curato da Gaia Piccardi e Guido De Carolis, «Una Fifa del diavolo» è l’instant book che il «Corriere della Sera» ha dedicato agli scandali della multinazionale del pallone.

Corruzione, mazzette, inchieste, arresti e squalifiche che hanno travolto anche Blatter e Platini. Sembra un romanzo, è tutto vero. Oggi il Corriere della sera anticipa alcuni contenuti di un libro che sarà in edicola sabato. 

E se da una parte ci sono i tanti temi geopolitici davvero interessanti, dall’altra c’è l’idea che Infantino ha proposto già durante il periodo elettorale, di un Mundial a 40 squadre. Il primo potrebbe essere quello del 2026, dopo l’edizione invernale in Qatar.

La formula potrebbe prevedere 10 gironi da 4 da cui far uscire 16 squadre ovvero le prime classificate più le 2 migliori seconde mentre le altre 8 migliori seconde potrebbero sfidarsi in un turno aggiuntivo di qualificazione agli ottavi di finale. Meno probabile un allungamento di altre due settimane con un turno in più a 20 o 24 squadre che farebbe sembrare davvero interminabile la kermesse iridata.

Il nodo? E’ quello dei diritti tv. Se è vero che da una parte si allargherebbe la platea dall’altra è altrettanto vero che il valore elevatissimo dei diritti deve fare da contraltare con il valore di vendita. Più partite significa una qualità media del singolo evento, soprattutto iniziale, decisamente inferiore. E maggiore difficoltà a trovare chi è disposto ad accollarsi una competizione con meno Italia – Brasile e più Iran – Ungheria.

Nel frattempo è possibile anticipare alcuni contenuti del Corriere della sera, pubblicati oggi dal quotidiano. La crisi di un sistema minato dal cancro dell’endemica corruzione, venuto allo scoperto grazie all’opera bonificatrice dell’Fbi e della Procura di Berna, ha finalmente aperto lo spiraglio a un cambiamento vero e non di facciata, di cui Gianni Infantino si fa garante.

La geopolitica rinnovata che esce dal Congresso elettorale dell’Hallenstadion riporta al centro del villaggio l’Europa con i suoi valori di democrazia al servizio di una crescita sana e sostenibile, concetti che la visione globalizzata di Sepp Blatter, partito alla furiosa conquista del mondo brandendo la spada dello sviluppo a tutti i costi, aveva clamorosamente perso di vista.

Il continente delle 54 sorelle guidate delle cinque Federazioni forti (Inghilterra, Germania, Italia, Francia, Spagna) è il modello che ha saputo portare benefici anche alle nazioni più piccole: i centri tecnici di allenamento sbocciati dal nulla in Ungheria, Moldavia, San Marino, Polonia; l’allargamento della base elettorale grazie all’affiliazione di Federazioni periferiche nella collocazione e nel peso specifico, come Andorra e Lichtenstein.

L’alleanza tra Michel Platini e Gianni Infantino, presidente e segretario generale Uefa saldati per sette anni, ha portato prosperità a tutti i soci europei della multinazionale calcio, grandi e piccini.

Prosperità di cui i grandi elettori della Fifa si sono ricordati nell’urna di Zurigo, quando si è trattato di scegliere tra il pragmatismo di un solido candidato continentale e le incognite della visione tutta da scoprire di un evanescente sceicco accusato di aver calpestato i diritti umani in un paese, il Bahrein, che non brilla come esempio di democrazia.

Anche la misura più contestata e discussa del binomio Platini-Infantino all’Uefa, cioè il fair play finanziario, alla fine si è rivelato un vero e proprio salvagente per i club.

Gli anni di apprendistato di Infantino alla corte di Platini a Nyon, sede dell’Uefa, potrebbero consentire al fresco presidente della Fifa di immaginare il fair play finanziario allargato alle sei Confederazioni che raggruppano le 209 federazioni mondiali. Sarebbe un passo inedito e rivoluzionario.

Se l’Europa è il modello da seguire, sullo scacchiere del calcio mondiale c’è subito chi ha saputo riposizionarsi seguendo l’onda del cambiamento (e dei propri interessi). Concacaf (Canada, Usa, Centroamerica e Caraibi) e Conmebol (Sudamerica) sono state le Confederazioni più decimate dall’ondata di squalifiche e arresti, uscendone con i bilanci in rosso e la credibilità azzerata.

C’erano mille buoni motivi, insomma, perché le Americhe si rimettessero in riga dimostrando fedeltà alla casa madre sin dalla scelta effettuata nell’urna: preferire Infantino allo sceicco.

Il più clamoroso tradimento delle aspettative di Al Khalifa, a Zurigo è arrivato dall’Africa. Zoccolo duro del consenso blatteriano, Confederazione nevralgica con il pacchetto dei suoi 54 voti, la Caf si è sbriciolata in un rigagnolo di voti tra il primo e il secondo ballottaggio.

Continente affascinante e difficilissimo, l’Africa è il banco di prova su cui si misurano le capacità di un amministratore abile e carismatico. Africa significa Paesi di grande tradizione calcistica (Nigeria, Camerun, Marocco, Egitto), realtà esplose con la complicità del business (il Mondiale sudafricano 2010 ha fatto scuola), dittature ingestibili (Eritrea, Somalia, Sudan), focolai di fanatismi con deriva terroristica (la Nigeria e Boko Haram).

Una realtà che Infantino avrà il suo bel daffare per ricondurre alle regole di una accettabile convivenza civile nel nome del dio pallone. Non a caso, appena eletto, l’uomo di Briga ha lasciato intendere che il potentissimo nuovo segretario generale della Fifa, che con le riforme arriverà a guadagnare più del presidente stesso, potrebbe essere pescato proprio nello sconfinato bacino africano.

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Un bresciano a Manchester. Tra giornalismo economico e football scouting