Diritti tv distribuzione Premier league in Serie A pro e contro. Dopo che il Governo ha fatto trapelare l’intenzione di dedicarsi alla riforma della Legge Melandri sulla distribuzione dei diritti tv della Serie A è tornata d’attualità l’analisi fatta da CF – calcioefinanza.it che mesi fa immaginò l’applicazione del modello inglese in Italia.
Le due leggi in estrema sintesi.
La Legge Melandri individua 6 criteri di ripartizione delle Risorse Economiche Nette:
- parti uguali: 40%
- sostenitori: 25%
- cittadini: 5%
- risultati dell’ultima stagione: 5%
- risultati dell’ultimo quinquennio: 15%
- risultati dal 1946/47 all’ultimo quinquennio: 10%
In Inghilterra la Premier applica sostanzialmente 4 criteri:
- parti uguali: 50% (più il 100% dei diritti tv venduti all’estero)
- risultati ultima stagione: 25%
- passaggi televisivi: 25%
Una premessa doverosa alle valutazioni che seguono va fatta.
Il modello perfetto non esiste. Ogni modello si inserisce in un quadro più generale (non solo nazionale ma anche internazionale) che va considerato. Di più: ogni riparto ha effetti nell’immediato e nel lungo periodo, spesso gli uni influenzano gli altri. Infine: i diritti tv domestici, benché fetta maggioritaria degli introiti dei club, non sono l’unica fonte di ricavi delle società.
Soprattutto: NON SI VUOLE QUI FARE IL TIFO PER UNA SOLUZIONE O UN’ALTRA. L’obiettivo è piuttosto quello di fornire un quadro completo e, dopo aver analizzato quale sarebbe l’effetto, è giusto anche parlare dei rischi.
Se il principio di equità, o meglio, di egualitarismo, è immediatamente visibile nell’effetto della distribuzione dei diritti tv attraverso il modello inglese, allo stesso tempo non si possono trascurare alcune peculiarità italiane e inglesi.
Andiamo con ordine.
- in Inghilterra la Premier League sta vedendo crescere la propria competitività SOLO ORA, dopo che vi è stata una squadra (il Manchester United) sempre nelle prime 3 per ben 21 anni e dopo che per un decennio, fino alla comparsa del Manchester City nel 2011 sono state 4 squadre – Manchester United, Chelsea, Liverpool e Arsenal – ad occupare 28 dei 30 posti disponibili sul podio (Leeds United, poi fallito e Newcastle United le uniche due eccezioni). E questo in un campionato storicamente caratterizzato da una altissima variabilità ai primi posti. E questo accadeva perchè per 10 anni i soldi distribuiti dalla Champions League avevano un peso specifico (e percentuale) sugli incassi ben superiore rispetto all’impennata degli ultimi due trienni di contrattazioni di diritti tv inglesi.
- oggi la competitività calcistica si gioca in campo nazionale come su quello internazionale. Aumentare la prima potrebbe significare far diminuire la seconda. Allo stesso tempo “l’effetto anni 2000” della Premier League potrebbe creare uno strano paradosso: i big club italiani (a partire dalla Juventus) sarebbero sempre meno competitivi in Europa pur non perdendo l’egemonia nazionale (del resto ai loro introiti tv vanno aggiunti quelli della Champions League).
- molti pensano che il Leicester sia un esempio moderno di successo romantico che guarda al calcio del passato. Tutt’altro: il Leicester è solo l’anticipazione di un equilibrio futuro sempre più accentuato. Se invece di guardare solo la prima in classifica si osservasse (in maniera più analitica e complessiva) tutta la Premier league si noterebbe quello che è il vero “caso” di quest’anno, ovvero: non le 3 sole sconfitte del Leicester ma le 40 sconfitte (8 a testa in media su 29 partite giocate) assommate da Manchester City (una gara in meno), Arsenal, Manchester United, Liverpool e Chelsea. E il fatto che 3 delle 4 squadre che si diceva prima oggi potrebbero restare fuori dall’Europa (infatti vogliono posti sicuri in Champions ventilando il grande bluff della Superlega).
- Questo accade perchè l’Inghilterra divide equamente i diritti tv? Anche, ma non solo. In Inghilterra la competitività del campionato è data anche dai diritti tv ma a fronte di una divisione più equa, la torta è infinitamente più grande, stiamo parlando i un campionato che oggi in quanto a diritti tv domestici vale più di sette volte l’Italia. Questo significa che oggi il Leicester fattura come il Napoli.
- Il riflesso diretto di questo aspetto è che sul mercato quasi tutte le squadre di Premier possono aggiudicarsi i giocatori che negli altri campionati ti puoi permettere solo se giochi per il primo posto. Da una parte vi è il rischio – ovviamente – di sovrastimare talenti modesti. Dall’altra tuttavia vi è un effetto distribuzione del talento abbastanza evidente in termini matematici. Basta pensare a quanti giocatori da 150 milioni esistono al mondo, a quanti da 100 milioni, a quanti da 80, 60, 40, 20 e così via. Si vedrà che gli insiemi tendono progressivamente ad aumentare in maniera esponenziale. Cosa significa questo? Che mentre negli altri campionati si fa mercato in insiemi enormi di calciatori (ad esempio i calciatori da 5-10 milioni) in Premier tutti scelgono soprattutto quelli da 15-20-30 con il rischio – ripetiamo – di sovrastimarli, ma anche la concreta possibilità di restringere il gap. E’ un po’ l’effetto fantacalcio: se indovini il capocannoniere sei stato bravo, se indovini il secondo o il terzo e magari li prendi insieme probabilmente vincerai, ma dal quinto, sesto, settimo attaccante in poi è tutto molto più aleatorio.
A questi aspetti vanno poi aggiunte alcune peculiarità italiane:
- la prima è l’esistenza di club molto piccoli che con investimenti relativamente limitati possono arrivare in massima serie. Ricordiamo che da noi la piramide del calcio è molto limitata rispetto alla Football League inglese dove ci sono 4 livelli professionistici (contro tre) che racchiudono meno squadre (92 contro 104) delle nostre e che soprattutto dal quarto livello in poi si saltano in un colpo centinaia di posizioni con un solo anno di permanenza in D (171 squadre) o in Eccellenza (465 squadre) mentre in Inghilterra anche il quinto livello è nazionale e per arrivare al numero di squadre di Eccellenza (quinto livello) si deve scendere fino al decimo.
- la seconda è la pesante dipendenza dei piccoli club dai ricavi da diritti tv che verrebbe accentuata, con un ulteriore pesante gradino da affrontare in caso di retrocessione.
- la terza è la sostanziale inconsistenza in termini di pubblico e di interesse delle squadre di provincia (come dimostrano i dati di ascolto tv) che in Italia ben lungi dal soppiantare i grandi club hanno invece soppiantato i capoluoghi di provincia (e la situazione peggiora se si guarda in B e C). E questo, piaccia o non piaccia, restringe l’interesse della massima serie, perchè Modena avrebbe un bacino d’utenza provinciale, Carpi no, così come Reggio Emilia rispetto a Sassuolo.
In estrema sintesi: redistribuire le risorse potrebbe (non automaticamente) anche aumentare la competitività interna e probabilmente deprimerebbe molto quella internazionale, ma l’effetto complessivo potrebbe essere su entrambi i fronti inferiore al previsto perchè comunque è il valore complessivo del campionato (in termini economici visti qui soprattutto come diritti tv) a rimanere marginale rispetto ai competitor.
Questo significherebbe che mentre le squadre mediopiccole continuerebbero a fare mercato su fasce di valore di giocatori non dissimili dalle attuali (eccezion fatta magari per il classico “colpo” estivo che strizza l’occhio ai tifosi e agli abbonati) quelle più grandi sarebbero invece debilitate rispetto ai top club europei ancor più di quel che succede ora. A quel punto il campionato italiano rischierebbe seriamente la retrocessione nel ranking somigliando più ad una Eredivisie olandese (che non piazzava da un decennio una squadra negli ottavi di finale di Champions) più che ad una Premier League.
CF – calcioefinanza.it, lo ripetiamo in chiusura, non fa il tifo per nessun modello, nessun club e nessuna Lega in particolare, ma quel che riteniamo veramente importante è che lo scenario complessivo sia ben chiaro a tutti affinché le scelte che verranno fatte, e soprattutto gli effetti successivi, non colgano impreparati.
Se obbligassero il reinvestimento di quei soldi in infrastrutture se ne potrebbe parlare, sennò a cosa gioverebbe questa nuova ripartizione?
Sarebbe soltanto la morte definitiva delle serie A, perchè un conto è la Premier che incassa 3 volte noi e quindi si può permettere una ridistribuzione equa senza intaccare i fatturati delle top 6, un conto è un modello ormai estinto che campa soltanto grazie a quelle 4/5 squadre.
Se volete eliminare quel poco di competitività rimasta in Europa per dare un po’ di soldi in più a realtà minori senza nessuna garanzia, fatelo pure, poi vedete come ci divertiamo col Ranking Uefa.
Piuttosto pensassero agli stadi, ai settori giovanili e alla tutela del marchio che ormai sotto questi aspetti siamo un paese del terzo mondo.
medio piccole in Italia non hanno nè spettatori allo stadio, nè stadi di proprietà nè abbonati alla paytv, Quello che ricevono, imposto da una legge truffa anticostituzionale e facilmente cancellabile in sede europea, è una vergogna che invece dovrebbe essere cancellata altrochè la quota aumentata. Ci sono proprietari in serie A che salgono nella massima serie per intascarsi i diritti tv e scendere in serie B e distrarre i soldi dalle società portandoli all’estero. Ci sono proprietari che salgono in A solo per incasse i soldi del “paracadute” e ritornare in B con decine di milioni di euro assicurati. E la magistratura cosa fa? Nulla
RIPETO COSA FA LA MAGISTRATURA dinanzi ai presidenti di serie A che già oggi con questa ripartizione si intascano i soldi dei diritti tv? La magistratura si è mossa per ora solo a Cesena anche li con grande ritardo.
E’ scandaloso che chi guida la Juventus abbia accettato di stare ancora in questa lòega con questa ripartizione e col paracude dei 60 milioni per chi retrocede in B e con la scandalosa mutualità.
La Juventus negli ultimi 5 anni ha perso di diritti tv rispetto real e barcellona oltre 250 milioni di euro nonostante l’ammontare di diritti tv della Liga sia stata inferiore alla serie
“Lo studio condotto ha il solo fine di mostrare un’analisi di scenario in caso di applicazione del metodo inglese alla realtà italiana. Non intendiamo entrare nelle logiche di negoziazione dei diritti TV, né nel disposto normativo della Legge Melandri. Ci limitiamo a notare come, con un criterio di ripartizione più egualitario, la Premier League riesca a generare diritti TV distribuibili maggiori di quelli italiani (2,2 miliardi di Euro vs 837M Euro), risultando complessivamente un prodotto più attrattivo ed appetibile rispetto alla Serie A.” Cito testualmente il pezzo finale dello studio che avete pubblicato (https://test.calcioefinanza.it/2015/10/15/diritti-tv-serie-a-ripartizione-2014-2015-metodo-premier-league/) perchè c’è scritto che vi limitate a far notare come il modello inglese abbia generato miliardi mentre quello italiano molto meno…spero che scherziate, perchè essendoci “finanza” nel vostro nome le vostre competenze dovrebbero essere queste: non potete non tenere conto del fatto che in GB gli abbonati alla pay tv sono 14 milioni (12 sky, 2 bt) mentre in italia sono meno della metà (6 e rotti fra sky e mediaset), con costi dei pacchetti molto più bassi….in italia i diritti tv nazionali non frutterebbero 2.2 miliardi di euro neanche se ci giocassero i 100 giocatori più forti del mondo, perchè 2.2 miliardi è il fatturato totale di sky, e sky e mediaset insieme fanno 2.7-2.8…non esiste il modello perfetto , e va bene, ma il massimo che può produrre il modello italiano più o meno è questo, magari ci metti 100 milioni in più , ma è quello…ogni mercato ha delle potenzialità, e quello italiano per ora ha queste possibilità qui, la GB per ora è inarrivabile.
Ciao Davide, a parte il modo saccente e poco simpatico che usi per dirci quale sarebbe il nostro lavoro e il nostro compito per il resto concordiamo, esistono mercati diversi di riferimento. E questo è un dato, dopo di che esistono delle differenze radicali (ad esempio in Inghilterra non si trasmettono tutte le partite in diretta e i pacchetti sono molto diversi) che generano ulteriori divaricazioni. Buona giornata.
Mi scuso per i toni, sicuramente odio i saccenti e odio quando lo faccio quindi…chiedo ancora scusa. Però secondo me stiamo discutendo di un problema che non esiste: il livello dei diritti tv (quantitativamente) raggiunto dalla serie a è secondo me molto vicino al suo massimo possibile per il mercato in cui naviga (sfiora il miliardo, 945mln per essere precisi), perchè gli acquirenti di quei diritti hanno un potere d’acquisto cmq limitato a propri abbonati e fatturati. I problemi grossi in italia sono gli stadi vuoti (e qui il modello inglese invece sarebbe da emulare, con meno dirette e quindi più abbonamenti allo stadio se vuoi seguire la squadra;fidelizzi anche di più il tifoso in questo modo), i diritti tv esteri anche possono essere aumentati, magari legando il marchio del nostro campionato ad eccellenze italiane internazionali, e il marketing e merchandising, poco curato (mentre nei paesi anglosassoni è la prima cosa che sviluppano in un’impresa) e scoraggiato da leggi non all’altezza sulla tutela del nome e del marchio. Il problema della serie a secondo me è la svogliatezza dei presidenti, oltre che le poche capacità degli stessi, quindi i diritti tv e la divisione di essi è un problema che non è un problema, e la divisione che c’è adesso è , se non la migliore possibile, unadelle migliori, perchè guarda a una moltitudine di fattori, e, chiaramente, se c’è una squadra che fa il 27 per cento di tifosi e due che ne fanno il 16 per uno, bisogna tenerne conto, e se non ne tieni conto allora è lì che viene fuori la disuguaglianza e l’iniquità…
Le medio piccole in Italia non hanno nè spettatori allo stadio, nè stadi di proprietà nè abbonati alla paytv, Quello che ricevono, imposto da una legge truffa anticostituzionale e facilmente cancellabile in sede europea, è una vergogna che invece dovrebbe essere cancellata altrochè la quota aumentata. Ci sono proprietari in serie A che salgono nella massima serie per intascarsi i diritti tv e scendere in serie B e distrarre i soldi dalle società portandoli all’estero. Ci sono proprietari che salgono in A solo per incasse i soldi del “paracadute” e ritornare in B con decine di milioni di euro assicurati. E la magistratura cosa fa? Nulla
RIPETO COSA FA LA MAGISTRATURA dinanzi ai presidenti di serie A che già oggi con questa ripartizione si intascano i soldi dei diritti tv? La magistratura si è mossa per ora solo a Cesena anche li con grande ritardo.
E’ scandaloso che chi guida la Juventus abbia accettato di stare ancora in questa lòega con questa ripartizione e col paracude dei 60 milioni per chi retrocede in B e con la scandalosa mutualità.
La Juventus negli ultimi 5 anni ha perso di diritti tv rispetto real e barcellona oltre 250 milioni di euro nonostante l’ammontare di diritti tv della Liga sia stata inferiore alla serie A. Agnelli il presidente e il management hanno accettato questa ripartizione che di fatto svantaggia solo la Juventus.Inoltre altro dato incredibile nonostante stadi vuoti e abbonati inesistenti alla paytv i club medio piccoli della serie A hanno incassato il doppio o quasi dei club corrispettivi della bundesliga ovvero del campionato della Germania, che hanno stadi pieni e strutture proprie.E il presidente della Figc attuale e precedente son stato eletti grazie a questa ripartizione e alla mutualità e al paracadute in serie B,quindi ripartizione totalmente clientelare ed elezioni falsate.E la Juventus invece di denunciare opporsi e tirarsi fuori dalla Lega , fa nulla e la Juventus perde ogni anno centinaia di milioni di euro di ricavi rispetto i grandi club europei ove le leghe vengono gestite in tutt’altro modo e con tutt’altra visione
il metodo inglese distribuisce al 25% sulle visioni in tv…xè su 380 partite totali ne trasmette solo il 36% nella stagione….quindi i piccoli club avrebbero pochi passaggi in pay tv e non beficerebbero del 25% se anche in Serie A passassero solo 36% delle partite e non tutte come Sky….oltretutto incentiverebbe ad andare a vedere le partite allo stadio, infatti in Premier League hanno una parcentuale di riempimento degli stadi superiore al 90%…..sicuramente migliorerebbe anche in Italia