Crisi del calcio italiano analisi economica Marco Vitale. «Milano ha imparato le leggi della competizione internazionale, i vertici di Milan e Inter no». Marco Vitale è un economista d’impresa che ha dedicato gran parte del suo tempo al tema dell’innovazione e modernizzazione dell’economia italiana e che anni fa ha scritto il libro “Fenomeno Chievo” sull’ascesa della seconda squadra di Verona.

Oggi il Corriere Milano lo ha intervistato per andare alle radici della crisi di Inter e Milan. Una situazione che secondo l’economista: «non ha origini cittadine. È vero che ha un impatto molto negativo, anche internazionalmente, sull’immagine della città, ma di fatto rappresenta il vertice della crisi del calcio italiano, che è in atto da tempo, e si tratta della crisi di un settore economico rilevante dovuta soprattutto a mismanagement». Ovvero a cattiva gestione.

Un fattore che secondo Vitale è comune a moltissimi settori nazionali. «Ci sono forti analogie – spiega sempre nell’intervista al Corriere – con le cause per le quali l’Olivetti è stata distrutta, la Fiat è diventata americana, la Pirelli fa parte delle partecipazioni statali cinesi, l’Italcementi è andata a rafforzare un potente gruppo industriale tedesco e via dicendo. Nel caso del calcio il mismanagement è ancora più grave, generale, grossolano e ha infettato l’intero settore».

In particolare Vitale indica questi elementi come decisivi:

– sperpero di capitali;

– utilizzo della squadra come strumento per altri obiettivi dei proprietari;

– mancanza di rispetto dei più elementari principi di professionalità organizzativa,

– erronea credenza che con i soldi (magari a debito) tutto sia possibile,

– conseguente disinteresse a investire a lungo termine, di rendere la squadra di calcio un fatto cittadino, di investire sui giovani, puntando invece solo su capitani di ventura

 

Secondo Vitale, in particolare, le squadre milanesi sono più indietro di quanto non lo sia il capoluogo lombardo: «Milano ha imparato la lezione della professionalità e della serietà imposte dalla competizione internazionale, la proprietà e la dirigenza delle squadre di calcio no».

E il futuro? Vitale non nasconde di aver sognato una soluzione tipo Barcellona, con una base azionaria diffusa («Ma in quel tempo – rivela – sognavo anche che la Lega e gli altri organi di governo del calcio potessero diventare una cosa seria, come la grande importanza, anche economica, del settore, merita»). “Ma ora – conclude – è troppo tardi. C’è solo da sperare che i padroni esteri siano migliori dei nostrani”.

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