Diritti tv confronto ricavi Italia Germania Spagna Inghilterra. La recente asta dei diritti tv in Germania ha sottolineato una volta di più che all’Italia serve un nuovo modello. CF – Calcioefinanza.it da tempo approfondisce gli aspetti in gioco e oggi tra le analisi e i dibattiti si aggiunge anche quella offerta da Affari e Finanza di La Repubblica.
I motivi della debacle sono molteplici, ma secondo gli esperti la causa principale è nel ridotto numero di esclusive. All’estero ogni partita è trasmessa da un solo operatore, in Italia, invece, solo il 34% delle partite è in esclusiva, «un fattore che dal lato dell’acquirente riduce gli incentivi ad offrire cifre più consistenti», osserva Augusto Preta, direttore di It Media Consulting che poi aggiunge: «Non va dimenticato che le partite vendute in esclusiva hanno un’attrattiva vicina al 10%, in pratica quelle senza le grandi squadre». Un calcolo che CF – calcioefinanza.it aveva svolto nel novembre scorso riferendosi agli ascolti tv e che confermava la marginalità delle suddette esclusive.
Le tv, che investono miliardi per i diritti dei principali campionati europei, riservano all’Italia solo le briciole. Un paradosso per un campionato che deve il 61% dei propri ricavi proprio alla vendita dei diritti televisivi: in nessun altro paese europeo la dipendenza economica è così sbilanciata.
In Gran Bretagna dove è stato chiuso un contratto di vendita monstre da 2,3 miliardi di euro l’anno le tv pesano appena il 53%, mentre gli altri campionati restano sotto la soglia del 50%.
Peggio: le cinque grandi leghe hanno visto il proprio valore crescere esponenzialmente con picchi del +83% per il rinnovo dell’ultimo contratto in Germania, mentre l’Italia si è dovuta accontentare di un +17% (l’incremento più basso).
Un rischio che la Bundesliga ha voluto evitare scrivendo un bando di gara con una forte enfasi sull’esclusività e rafforzato dall’introduzione di una “no single buyer rule”. Così è arrivato il sorpasso nei confronti dell’Italia.
Quello italiano è un trend negativo cui la politica vuole mettere un freno. Da tempo, infatti, si parla di una revisione della Melandri: entro l’estate le onorevoli del Pd Daniela Sbrollini e Lorenza Bonaccorsi presenteranno un nuovo disegno di legge d’intesa con Palazzo Chigi che vuole seguire da vicino la partita. L’obiettivo è di creare maggior concorrenza tra gli operatori, rivedendo anche il ruolo dell’advisor «che non può ricoprire più ruoli come inveca fa Infront».
Gli inglesi riescono a strappare contratti astronomici – e in continua crescita – pur vendendo all’asta meno della metà delle partite: 168 su 380 nell’ultimo bando (periodo 2016-19), suddivise in pacchetti esclusivi. I ricavi passeranno da 1,4 a 2,3 miliardi di euro.
La Spagna. Con la nuova legge del 2015 la vendita dei diritti, che fino ad allora era stata affidata alle singole squadre, diventa centralizza e gestita direttamente dalla Liga. Gli spagnoli hanno messo all’asta 10 pacchetti esclusivi: i principali sono andati a Mediapro/BeInSports e Telefonica/Movistar. Con questa operazione la Liga ha visto incrementare i propri ricavi da diritti tv domestici del 64%: da 600 a 983 milioni di euro a stagione.
Rispetto alla Serie A, a far la differenza sono i diritti per l’estero che gli spagnoli riescono a vendere per 517 milioni l’anno contro i 185 milioni l’ano nostrani.
La Francia. Come Germania, Spagna e Inghilterra, la Ligue 1 gestisce direttamente la vendita dei diritti domestici, senza un advisor, ma con l’aiuto di un consulente tecnico. Tutte le partite sono state messe all’asta in pacchetti esclusivi: 114 a CanalPlus, 266 a BeInSports. L’incremento dei ricavi è stato del 20%, da 607 a 727 milioni di euro l’anno: un aumento superiore a quello della Serie A, ma comunque contenuto dal momento che la strutturazione dei lotti in gare rendeva contendibili solo i match più pregiati.