Effetti Brexit Superlega europea senza squadre inglesi. La Brexit può diventare la rampa di lancio per la Superlega. Molti si interrogano su quelli che saranno nei prossimi mesi, probabilmente anni, i riflessi della Brexit sulla Premier League. Ma, così come l’uscita dall’Ue avrà effetti su tutta l’economia anche in questo caso gli effetti possono essere su tutto il calcio europeo. Non è un caso se i club singolarmente e la Lega con una presa di posizione ufficiale si sono schierati apertamente, prima del voto, contro la scelta di lasciare l’unione.

Gli effetti saranno di breve periodo (la svalutazione della sterlina diminuisce il potere d’acquisto dei club) ma probabilmente quelli più importanti saranno di medio o lungo periodo.

Posto che al momento non si può ancora conoscere lo status che la Gran Bretagna (nelle ultime ore verrebbe più che altro da dire “l’Inghilterra”) avrà nel nuovo assetto continentale, alcune ipotesi sono già state avanzate e riportate da CF – calcioefinanza.it, a partire dai giocatori comunitari che diventerebbero “extra”.

Ma il calcio da un punto di vista economico non è solo un gioco di costi e ingaggi. Sempre più la capacità di trasformare le spese in investimenti e l’abilità di creare valore all’interno di un sistema è ciò che fa realmente la differenza. E questo è esattamente ciò che – grazie non solo agli introiti tv ma anche ai ricavi differenziati – ha reso la Premier League il campionato più ricco del mondo.

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Il dato di partenza è che oggi il calcio inglese è più competitivo a livello economico organizzativo che a livello prettamente sportivo agonistico.

L’Inghilterra è terza nel ranking. Sopravanzata da Spagna e Germania, con l’Italia incollata (al momento la differenza è solo di 2,3 punti), il che riflette un quinquennio con 2 soli trionfi (Chelsea in Champions 2012 e Europa League 2013).

I recenti risultati della nazionale, poi, suggeriscono che senza i comunitari la Premier sarebbe un campionato marginale.

Quando nelle scorse settimane si analizzava il reale interesse delle squadre europee a creare una Superlega (NB: per Superlega si intende un campionato ex novo, non una riforma della Champions League che molto probabilmente ci sarà nel 2018 con il nuovo triennio di cessione dei diritti tv) si diceva che erano proprio le inglesi ad essere le meno incentivate da un eventuale addio al loro campionato nazionale. 

Nelle settimane successive infatti emerse il complotto dei giganti (cosi lo aveva bollato proprio un giornale inglese, il Sun) per avere posti garantiti alle grandi della Premier in Champions League. L’impressione è sempre stata una sola: le inglesi non avrebbero mai accettato di uscire dal loro campionato.

Un dato che oggi è rafforzato dalla scelta referendaria. Ma presto potrebbe cadere quel vincolo “europeo” che imponeva di invitarle al tavolo. Oggi l’Inghilterra non è più Europa perchè si è chiamata fuori, non solo perchè non usa l’Euro. Oggi è chiaro che se davvero si vuol fare una Superlega “tipo NFL americana di football” (parole di Andrea Agnelli) farlo con le inglesi non sarà mai possibile.

“Oggi l’ipotesi che nasca non già una Superlega Europea tout court ma piuttosto una Superlega della Zona Euro (quindi senza le inglesi) è tutt’altro che da scartare. Anche perchè salverebbe di fatto il valore della Champions League dell’UEFA (che manterrebbe il suo appeal e sarebbe anche il banco di prova per la sfida Europa – Gran Bretagna)”. Così scriveva CF – calcioefinanza.it il 3 marzo scorso.

Aggiungiamo un dato che tocca proprio il cuore della Premier League e del suo potere economico: “gli ingenti introiti delle società iscritte alla massima serie inglese dipendono anche dalla cessione dei diritti televisivi, resa più semplice dal diritto alla libera circolazione delle merci e dei servizi garantito ai membri dell’Unione Europea” come scritto dall’Avvocato Carlo Rombolà recentemente in una analisi della situazione su Sportbusinessmanagement.it, che aggiunge: “per gli investitori di tutto il mondo potrebbe essere un po’ meno conveniente, da domani, investire in terra d’Albione, non foss’altro per le scosse di assestamento che potrebbero arrivare da qui a poco nel calcio d’oltremanica”.

L’occasione è ghiotta. Per fare la Superlega serve un progetto complessivo, non solo la somma di singoli grandi club del passato.

Superlega europea, i vertici delle big della Premier dopo la riunione con i rappresentanti di ICC
Superlega europea, i vertici delle big della Premier dopo la riunione con i rappresentanti di ICC

In questo senso l’Eurozona ha tutto, a partire dalla tradizione. Può contare al suo interno 9 delle 12 società che hanno vinto almeno 2 Coppe dei Campioni o Champions League (Real Madrid, Milan, Barcellona, Bayern, Ajax, Inter, Juventus, Porto e Benfica).

Vista invece da un punto di vista strettamente economico finanziario (in termini quindi di mercati, bacini d’utenza, potenzialità) ha anche tante piazze “vergini” che potrebbero diventare ben presto appetibili. Immaginate gli investimenti che capitali dell’Eurozona come Dublino, Bratislava e Vienna potrebbero attirare se (all’americana) diventassero sedi di franchigie della Superlega. A queste aggiungiamo Parigi, forte del PSG che è grande oggi ma non ha mai vinto una Champions League. O alla stessa Glasgow, da sempre corteggiata invano dall’Inghilterra (anche ultimamente con l’invito a Rangers e Celtic ad unirsi alla Football League).

Vi è poi la situazione congiunturale. Tutti i grandi club sanno che oggi l’onda lunga della loro crescita potrebbe essere arrivata ad un punto di svolta.

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Bundesliga e Liga hanno recentemente rinnovato i contratti sui diritti tv ma restano lontani dalla Premier (Real e Barcellona, peraltro, hanno sostanzialmente accettato un congelamento dei loro diritti nel prossimo triennio a favore di un riequilibrio generale). La Francia sa di essere di fatto esclusa. La Serie A difficilmente (avendo al suo interno un mercato pay tv che appare saturo e ormai senza crescita) potrà andare molto oltre il miliardo di valutazione complessiva.

Quando arriva a questo punto, solitamente, il mercato si evolve, punta su nuovi format, ragiona in termini diversi. E la Superlega potrebbe rimescolare i valori in termini di diritti tv: il format proporrebbe non solo le migliori partite ma anche le migliori piazze europee, inoltre – non essendo le risorse delle tv illimitate – è ipotizzabile che questo finisca per erodere proprio il business complessivo della Premier, molto forte nella cessione dei diritti all’estero.

In crescita – come noto – sono le proprietà straniere: PSG, probabilmente il Milan, certamente l’Inter e l’Atletico Madrid sono esempi di un’onda lunga che dopo aver massicciamente investito l’Inghilterra (Europa senza Euro) sta toccando – e sembra tutt’altro esaurita – l’Eurozona. Allo stesso tempo guardiamo (si veda l’intervista qui sotto) alle dichiarazioni di Gandini (Milan): sarà della stessa opinione se il club dovesse passare in mano ai cinesi?

Un’onda lunga che interessa anche a chi il calcio lo fa con i club medi. Si prendano le dichiarazioni di De Laurentiis di qualche settimana fa. Il presidente del Napoli è furbo nell’auspicare un supercampionato da 10 miliardi di euro l’anno, perchè non dice ma sa benissimo (se ne sta accorgendo prorpio in queste ore col caso Higuain) che per resistere in questo mercato ha bisogno di nuove partnership in termini di capitali, cosa che al momento – nella sgangherata Serie A – non sembra essere in grado di attrarre anche se il suo club gode di una salute certamente migliore rispetto a Mian e Inter.

Il campionato di zona Euro, peraltro, ridurrebbe anche i possibili attriti con l’UEFA, perchè la Champions sarebbe il teatro della grande sfida tra Eurozona e Premier League e perchè in una Europa più frammentata l’Uefa ha tutto l’interesse ad essere la somma delle parti.

La stessa Champions League è ad un punto di saturazione dal punto di vista della valorizzazione in termini televisivi. Non a caso si prova a studiare i modo di spostare le partite al week end (per favorire i mercati asiatici). Una operazione difficilissima e in contrasto con gli equilibri dei campionati nazionali.

Vero è che tutti i club al momento non vedono di buon occhio l’addio ai campionati nazionali (di fatto si privano di qualche trofeo “sicuro”). Ma questo aspetto potrebbe essere ampiamento compensato con una decisa accelerata dei ricavi. Non a caso, ripetiamolo, i club di seconda fascia (vedi qui l’intervista al tecnico del Borussia Dortmund) sarebbero ben contenti di entrare.

Quando succederà tutto questo? Difficilmente entro il 2018, quando è più probabile che a cambiare sia la Champions League, più probabile invece che entro il 2020 qualcosa in tal senso si muova, magari dopo il traino dell’Europeo che in quell’estate vedrà disputarsi le gare in 10 città di tutta Europa: un quadriennio che darebbe il tempo di preparare il campo ad un nuovo torneo e anche alla nascita di nuove franchigie e all’afflusso importante di capitali internazionali a finanziare la nuova frontiera del calcio.

 

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Un bresciano a Manchester. Tra giornalismo economico e football scouting