Calcio portoghese – Euro 2016 si è appena concluso con la vittoria della rappresentativa portoghese guidata da Fernando Santos. Ma questo successo racconta veramente lo stato di salute del calcio portoghese?
Per dare una risposta siamo andati a vedere i numeri della lega portoghese e l’andamento sportivo-finanziario delle squadre storicamente più rappresentative, Porto, Benfica e Sporting Lisbona, confrontandoli con i competitors europei (Premier League, Liga, Bundesliga, Serie A, Ligue 1 e relativi top club).
Calcio portoghese: il (non) modello di business
Dall’analisi dei bilanci delle storiche squadre lusitane, emerge la fotografia di un sistema che oggi paga una passata gestione a dir poco lassista, che non ha saputo far i conti con una “industrializzazione” del calcio e l’obbligo di un equilibrio dettato non solo dal buon senso, ma dalle regole UEFA, attraverso il Financial Fair Play.
Le perdite accumulate nelle precedenti gestioni e i forti investimenti (come nel caso degli stadi per il campionato Europeo 2004) hanno portato un dilapidamento del Patrimonio Netto delle società e il sistematico ricorso a capitale di debito, non solo per finanziare tali investimenti, ma per compensare la riduzione dell’equity.
Ciò ha lasciato spazio alla frammentazione del capitale sociale delle società, con l’entrata in gioco di altri stakeholder anche nella governance, e alla sostanziale dipendenza dalle banche. Siamo quindi di fronte a un trend caratterizzato da indebitamento selvaggio e ricorso spinto alla finanza (quasi creativa) per ottenere liquidità.
Tuttavia, le banche erogano prestiti che devono essere ripagati, perciò le società hanno la necessità di generare la liquidità necessaria per tenere in piedi il sistema.
Fortunatamente per i tre club, la scarsa competitività della Liga Nos permette costantemente a Porto, Benfica e Sporting di qualificarsi alle coppe europee: in questo scenario, da un lato aumentano i fatturati con gli incassi derivanti dai diritti TV, dai premi UEFA e dal ritorno di immagine, dall’altro valorizzano i giocatori presenti in rosa, che vengono venduti a cifre esorbitanti rispetto al prezzo di acquisto.
I fattori che dunque tengono in equilibrio lo scenario sono sostanzialmente la capacità delle società di iscrivere a bilancio una grossa somma alla voce plusvalenze e i risultati in campo europeo.
Calcio portoghese: i calciatori come asset primario
La generazione delle plusvalenze è condizione imprescindibile per la continuità del sistema portoghese: i calciatori sono quindi l’asset fondamentale, anche se i valori di mercato delle rose delle migliori squadre portoghesi sono marginali in confronto ai top club europei.
La Primeira Liga è quindi sostanzialmente un campionato esportatore di calciatori, uno snodo logistico per crescere futuri campioni, principalmente sudamericani.
Questo è lampante analizzando le rose di Euro2016: dei 23 chiamati da Fernando Santos solo il 30% (8 su 23) giocano nel campionato nazionale, rispetto ai 20 (21 considerando l’inglese Eric Dier) cresciuti nelle giovanili di squadre portoghesi.
Tuttavia, il dato ancor più evidente è che solo gli stessi 8 calciatori sui 552 dell’Europeo giocano nel campionato portoghese (risultato peggiore) a fronte dei 134 che giocano in Premier, evidenziando la scarsa attrattività della lega portoghese.
Tra questi, molti sono giocatori di livello internazionale, in primis Ronaldo, Nani, Quaresma, che nel tempo sono stati protagonisti di trasferimenti milionari, anche per l’impossibilità di avere in patria un campionato degno del loro valore, non solo dal punto di vista del calcio giocato, ma anche dello stipendio: l’ultimo è Renato Sanches, miglior giovane di Euro2016, che a soli 18 anni è passato al Bayern Monaco per la possibile cifra monstre di €80 mln (€35 mln subito più €45 mln in base a obiettivi).
È evidente una peculiarità delle società portoghesi: non solo hanno settori giovanili di grande tradizione (come quello dello Sporting Lisbona) che riescono a crescere giovani prospetti, coltivati in casa o comprati da squadre sudamericane o minori grazie ad una fenomenale struttura di scouting, ma riescono a valorizzarli e a venderli bene.
In questo contesto non secondario è il ruolo delle Third Party Ownership (TPO) e dei fondi di investimento che sono ormai un interlocutore fondamentale dei club portoghesi. Anche se le istituzioni europee del calcio e non solo gli danno battaglia, gli effetti contabili e gestionali dei servizi di questi soggetti sono riportati in modo trasparente, come si può vedere dalle voci analitiche dei crediti, dei debiti e dell’acquisto di giocatori. Nei bilanci i calciatori acquistati figurano con la relativa percentuale spettante a TPO e fondi.
Anche attraverso il ruolo e le logiche di questi soggetti, le società lusitane riescono a fare enormi plusvalenze con cui riescono a coprire gli ammortamenti dei diritti sportivi dei calciatori, ripagando i debiti e tenendo i conti in ordine.
La valorizzazione dei propri giocatori è quindi l’elemento su cui si fonda la gestione spregiudicata delle principali squadre portoghesi non solo perché permette di vincere il campionato nazionale, ma anche giocare le Coppe Europee, principale fonte per aumentare i fatturati.
Calcio portoghese: le coppe Europee e l’impatto sugli introiti TV
Il relativo grande valore delle loro rose ha permesso di instaurare un regime oligopolistico (nelle ultime 3 stagioni si sono sempre spartite i primi 3 posti) che consente alle tre massime rappresentanti del calcio lusitano di accedere di anno in anno alle Coppe Europee.
Nello specifico, sono Porto e Benfica a sostenere il ranking UEFA nazionale, attestando il torneo portoghese come 5° forza europea e dando potenziale accesso a Champions e Europa League a 6 rappresentanti.
Mentre i Leões ultimamente non sono mai riusciti a passare la fase a gironi di Europa League, Porto e Benfica sono presenze fisse delle fasi più avanzate: i Dragões fino agli ottavi di CL con il picco dei quarti del 2015/16, mentre le Águias sono specialisti in negativo della EL, arrivando per ben 2 volte di fila a perdere la finale nel 2012/13 e 2013/14, così da scalzare il Porto come principale squadra portoghese a livello europeo.
Questi risultati concorrono ad accrescere sensibilmente il fatturato, consentendo in particolare alle squadre di arricchire i ricavi da diritti TV, che altrimenti sarebbero ancor più poveri per effetto dello scarso appeal mediatico del campionato portoghese. Tra l’altro, a differenza delle altre leghe europee, questo sconta la contrattazione non collettiva ma privata, che avvantaggia ulteriormente le nostre 3 società a livello nazionale, creando ulteriore squilibrio interno.
Calcio portoghese: il ruolo di banche, fondi d’investimento e TPO
L’incapacità del sistema portoghese di dotarsi di una struttura organizzativo-gestionale, coerente con la trasformazione del calcio in business, e le limitate capacità manageriali sia delle singole società che a livello di Lega nel gestire e valorizzare il prodotto, hanno creato la necessità di un ricorso sistematico alle banche e lasciato spazio all’affermazione di TPO e fondi di investimento.
Il complicato scenario generato nel passato dall’incapacità di generare utili ha portato ad una spinta logica d’alta finanza nella gestione del club. Le società hanno dovuto fare ricorso a pesanti richieste di capitale di debito dando molto spesso gli stessi giocatori (essendo l’asset primario) come garanzia.
Le società hanno così visto ampliare il raggio d’azione delle banche da semplice finanziatore a proprietario (vedi struttura proprietaria del Benfica) o “controllore” (vedi piano di ristrutturazione finanziaria dello Sporting).
Inoltre, gli stessi club sono in realtà holding che inglobano altre società deputate alla gestione del core business (la squadra) e dei business collegati, come lo stadio di proprietà, la struttura commerciale, la produzione di media e fondi di investimento proprietari per la gestione calciatori (Benfica Stars Fund e Sporting Portugal Fund).
Ovviamente, questo nucleo di interessi genera opportunità per società di investimento dal possesso di azioni, ma anche per altri soggetti: molto particolare è infatti la presenza nella lista dei shareholder in tutte e tre le società di Olivedesportos, società che si occupa di commercializzazione dei diritti TV, pubblicità e marketing sportivo.
In questo contesto ad alta intensità finanziaria, nemmeno la via della quotazione in Borsa è servita per raccogliere liquidità: la realtà è un prevedibile trend negativo del valore delle azioni e riduzione della capitalizzazione, vista la volatilità dell’industry e il loro rischioso andamento sportivo e finanziario.
Oltre alle banche, in questo “vuoto” di competenze si sono inseriti anche TPO e fondi di investimento. Il loro ruolo e attività sono ormai ben radicati anche perché sono una fonte fondamentale di scouting e di realizzazione di plusvalenze per la redditività aziendale, attraverso l’attività di acquisto/cessione di giovani potenziali campioni, il cui trasferimento, dalla loro prospettiva, è un business ed è quindi guidato da una logica prettamente speculativa (https://test.calcioefinanza.it/2016/05/28/modello-di-business-atletico-madrid/).
Dall’analisi dei flussi di trasferimento si nota il ruolo ben preciso e la capacità di questi soggetti di costruire un loro network con direzioni ben definite.
Calcio portoghese: il valore della lega si allontana dai competitors
Per concludere, dal confronto con gli altri top club europei e le rispettive leghe, il calcio portoghese esce con un immagine di sistema calcistico di secondo piano.
Nessuna squadra rientra nelle 20 che compongono la classifica Forbes dei club più ricchi, mentre solo il Benfica ha fatto parte, fino alla pubblicazione 2013/14, della Deloitte Football Money League (tra il 21° e il 26° posto).
Sul fronte diritti TV, se il valore si avvicina a Francia e Italia il merito va ai premi UEFA che compensano lo scarso appeal della Liga Nos.
Infine, seppur con la presenza di strutture di marketing comunque non ancora al livello dei competitors europei, le società scontano lo scarso appeal commerciale dei propri brand (solo il Benfica compare nella classifica dei brand value stilata da Brand Finance, al 40° posto) riuscendo a ottenere partnership/sponsorship di modesto valore.
Il calcio portoghese è quindi lontano sicuramente da Spagna, Inghilterra e Germania. Nel passato la Primeira Liga aveva nel mirino l’aggancio alla Serie A, ma non ha saputo gestire in maniera manageriale la trasformazione del calcio: ad oggi quindi il vero competitor è la Ligue 1.
La rischiosa situazione del calcio portoghese è imputabile a una mancanza di organizzazione, visione, governance e competenze manageriali che creano terreno fertile per banche, TPO e fondi d’investimento.
In questo contesto, mancano anche investimenti dall’estero paragonabili per logica a quelli avvenuti negli altri Paesi: il trend declinante lascia presagire una fase di vera e propria colonizzazione (https://test.calcioefinanza.it/2016/01/27/espansione-cina-nel-calcio-parte-sponsorizzazione-serie-b-portoghese/) a meno che il sistema Portogallo non s’impegni a sfruttare le proprie potenzialità attraverso un deciso piano di rilancio.