Inchiesta Gazzetta dello Sport sui cinesi del Milan – Un reportage di quelli che da tempo non si vedevano sulla stampa italiana. Il giornalista della Gazzetta dello Sport specializzato nel business del calcio, Marco Iaria, è stato inviato dal suo giornale in Cina per raccogliere di persona e direttamente, attraverso le testimonianze di manager, addetti ai lavori ma anche della gente comune, informazioni sui soggetti (almeno quelli finora usciti allo scoperto) che potrebbero rilevare il Milan dalla Fininvest di Silvio Berlusconi.
Il quadro tracciato da Iaria non sembra essere particolarmente rassicurante, nonostante le rassicurazioni arrivate di recente sulla solidità della cordata cinese da parte di Fininvest.
Li Yonghong, il presidente di Sino-Europe Sports Investment Management Changxing, la società veicolo costituita appositamente per acquistare il club rossonero, è un perfetto sconosciuto non solo per i molti tifosi del Milan in Cina ma anche per coloro che appartengono alla business community e che sul calcio stanno investendo da tempo.
«Si diceva che fosse billionaire e che possedesse due società quotate in Borsa», fa notare Iaria sulla Gazzetta, «ma non ci sono riscontri in Cina sulla sua consistenza patrimoniale, anche perché i suoi affari si perdono in un reticolo di società e prestanome».
Tra gli uomini d’affari cinesi interpellati dal giornalista della Gazzetta c’è Feng Yin, titolare di Boafeng, società leader nei new media che, in joint-venture con Everbright, ha recentemente acquisito l’agenzia di diritti sportivi MP & Silva.
«Mai visto prima», riferisce Feng Yin dopo aver osservato la foto che ritrae Li Yonghong assieme a Berlusconi a Villa Certosa.
Scettico sull’operazione Milan anche James Tian, manager di Cicc (China International Capital Corporation Limited), tra le principali banche d’investimento del Paese, dove coordina le acquisizioni di società estere. «Gli investitori non sono noti, non sono player di primo livello della finanza e non lavorano nell’industria sportiva. Per i cinesi è più coerente che i club di calcio vengano acquistati da società o imprenditori già avviati», spiega Tian all’inviato della Gazzetta dello Sport.
La pensa allo stesso modo He Wenyi, direttore del centro di ricerca di sport cinese alla Peking University: «La struttura del gruppo che vuole comprare il Milan non è tipica in Cina. Suning la conoscono tutti, possiede già una squadra e ha rilevato l’Inter per fare sinergie e creare valore in Cina. Quello del Milan è un caso completamente diverso: sembra un’operazione finanziaria con l’obiettivo di trarre profitto in futuro, puntando sul brand value del Milan che in Cina è molto alto e sull’enorme potenziale dei giovani consumatori cinesi».
Lo schema finanziario dell’acquisizione
Da un punto di vista finanziario, dunque, l’operazione della cordata cinese ricorda molto quella tentata lo scorso anno da Bee Taechaubol: acquisire il Milan in parte con fondi propri in parte con fondi presi a prestito dalle banche e rientrare poi di una parte dell’investimento attraverso la quotazione in borsa del club, puntando poi nel medio termine sui flussi di cassa che dovrebbero arrivare dalla sfruttamento del brand Milan in Cina e in Asia.
Sarà possibile? «Il Milan in Cina è popolare», scrive ancora Iaria, «L’ultima ricerca di Nielsen Sport gli accredita addirittura 106 milioni di fan, come l’Inter: solo il Real farebbe meglio, a quota 127 milioni».
Lo stesso studio, sottolinea il giornalista della Gazzetta, spiega che i tifosi in Cina «si comportano in modo molto diverso rispetto ad altri mercati internazionali e vi è un notevole grado di sovrapposizione»: ad esempio tra i fan cinesi del Manchester City, il 95% sostengono anche lo United, il 71% il Liverpool, il 68% il Chelsea e il 64% l’Arsenal.
Tutto questo deve tradursi in moneta sonante. Il Barcellona, che dal marketing genera quasi il quadruplo del Milan, incassa in tutta l’Asia 15 milioni circa di ricavi commerciali annui più qualche milione di royalty dalle vendite dei prodotti Nike. Il responsabile dell’ufficio blaugrana a Hong Kong, che impiega dodici persone, ammette: «Tutti conoscono il Barcellona ma questa notorietà è difficile da monetizzare commercialmente, per noi come per gli altri club europei, perché in Cina si tende a spendere a favore di aziende cinesi».
SinoEurope Sports promette di far soldi con un modello differente da quello usato dalle squadre europee, proprio perché il Milan sarà percepito non come un’entità “colonizzatrice” ma come un’azienda cinese, appoggiandosi alla rete di relazioni con numerose societàpartner.
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