Di cosa parliamo quando parliamo di azionariato popolare nel calcio? Il tema dell’azionariato popolare come forma di gestione si un club calcistico torna solitamente d’attualità in Italia quando, in seguito ad un fallimento si cerca di puntare sull’ultima spiaggia della passione dei tifosi per raccattare quanto serve a salvare il salvabile.
Anche CF – calcioefinanza.it in passato si è dedicata all’argomento evidenziando come spesso la formula appaia insufficiente rispetto al fabbisogno finanziario di una squadra.
L’azionariato popolare nel calcio, o fan ownership per dirla all’inglese, è la partecipazione al capitale sociale di una determinata società calcistica da parte di un gruppo di individui, i quali, in base alla percentuale di partecipazione all’investimento in questione, prenderanno parte ai risultati economici aziendali.
Al momento sono solo due i club italiani che usano questa formula: la Cavese e l’Ancona.
Proprio nei giorni scorsi il Motherwell FC, in Scozia, ha visto il proprio maggior capitalista cedere le proprie quote sociali a favore di un gruppo di investitori, facendo tramutare la società in questione in una “fan owned football team”.
Dopo ben quattordici anni John Boyle, azionista di maggioranza della società in questione, ha venduto il 100% delle quote di partecipazione detenute nella società, pari al 76% del totale, ad una cifra tanto simbolica quanto irrisoria: 1 pound (circa 1,16 euro al cambio odierno).
A “mettere le mani al portafogli” è stato il club “Les Hutchison”, che ha anche garantito la sostenibilità economica al club.
I fan-owned football teams sono sparsi un po’ ovunque dove il calcio presenti un minimo di interesse.
Tre sono sostanzialmente le categorie.
The Supporters Buyout, ovvero il riacquisto da parte dei tifosi.
Un board di tifosi prende le redini della società in questione acquistando la maggioranza del capitale, ovvero il 51%. Come nel caso del Motherwell.
Al momento si contano almeno 19 casi del genere nel Regno Unito. Quello che dura da più tempo riguarda il Newport FC, ma si tratta di una squadra che gioca nel decimo livello della piramide, quindi una società davvero piccola.
L’unica società professionistica con questo tipo di formula è il Wycombe che gioca in League Two.
The Phoenix Club, le società acquistate dopo il fallimento.
I Phoenix Club possono essere considerati come quelle società la cui proprietà ha ottenuti dei risultati sportivi ottimi, contro, però, dei risultati economici precari.
Il fine di queste organizzazioni è garantire la continuità dei risultati derivanti dall’attività agonistica, cercando di migliorare anche l’aspetto economico e finanziario della società.
Anche in questo caso si contano 12 club, ma per lo più minori.
Sembra emergere una evidente difficoltà delle fan ownership a garantire un reale successo all’impresa in termini sportivi.
The Protest Clubs, i ribelli che fondano società ex novo.
I Protest Clubs possono essere considerati come delle organizzazioni che il più delle volte si uniscono senza l’intento di perseguire fini economici, ma con il fine di contestare alcune politiche societarie.
Uno dei clubs organizzati più famosi rientranti in questa categoria è il FC United of Manchester, considerata come una Community Benefit Society, formata da tifosi del Manchester United ostili e contrari all’arrivo della famiglia Glazer al comando del club.
Il club, peraltro, dopo un esordio positivo e diverse promozioni, ora gioca nel sesto livello del calcio inglese e punta al professionismo, ma nell’ultimo anno ha incontrato diversi problemi sul suo percorso legati ai rapporti tra i soci stessi.
Una situazione simile, ma meno pubblicizzata, si è creata anche a Liverpool con il City of Liverpool FC, mentre merita certamente una menzione l’AFC Wimbledon, la cui proprietà è detenuta dal The Dons Trust.
In seguito al passaggio della vecchia società all’MK Dons i tifosi si unirono per tener viva la loro tradizione (il club fu protagonista in First Division a cavallo degli anni 80 e 90).
Al momento si contano almeno 6 club di questo tipo.
Il modello spagnolo.
In Spagna troviamo certamente il modello cooperativo di maggiore successo. Dall’Atletico Bilbao a Barcellona e Real Madrid, formalmente siamo in presenza di moltissimi club la cui proprietà è detenuta dai tifosi.
In particolare il Futbol Club Barcelona è un’associazione sportiva di persone fisiche che conta 173.000 soci legati tra loro senza fini di lucro, fondata nel 1899 è la società con più soci al mondo.
Ai blaugrana naturalmente CF – calcioefinanza.it si è dedicato più volte raccontando tra le altre cose il meccanismo di elezione del presidente.
L’Assemblea Generale rappresenta l’organo supremo di governo del club il quale prende le decisione di più grande importanza e di maggior delicatezza, il presidente è nominato a suffragio universale ciclicamente ogni quattro anni; il comitato direttivo è l’organo collegiale di governo del club, con la funzione di promuovere e dirigere le attività sociali.
Due, probabilmente, le eccezioni che rendono questo modello sostenibile e di successo: il primo riguarda la storia. Il fatto che il club affondi le radici nel passato, in un calcio non finanziarizzato come quello di adesso che quindi ha permesso di crescere nel tempo senza l’assillo di essere sempre in vetta.
Il secondo riguarda le dimensioni del club, che può decisamente prescindere dagli apporti dei soci (che pure costituiscono una delle voci interessanti delle entrate) alla luce di un fatturato tra i più importanti al mondo.
In mancanza di queste condizioni l’impressione è che i club di calcio difficilmente siano gestibili con l’azionariato popolare, almeno per quanto riguarda i livelli massimi del calcio.
Più facile che questo si adatti a club di piccole realtà, dove gli aspetti sociali finiscono giocoforza per avere il sopravvento su quelli sportivi.
[…] e l'Arezzo vediamo, sta cosa deve ancora praticamente iniziare…… ripeto, rimango perplesso Di cosa parliamo quando parliamo di azionariato popolare nel calcio | Calcio e Finanza Rispondi […]