La Premier League inglese ha recentemente firmato il suo più grande affare fuori dal Regno Unito grazie all’accordo record con Suning – società proprietaria anche dell’Inter – che darà 560 milioni di sterline per trasmettere le partite sulla sua piattaforma tv in Cina.

Secondo Simon Chadwick, professore di Sport enterprise all’Università di Salford, l’importanza dell’accordo non è legata solo all’importo economico, ma anche al peso dello stesso in termini di soft power.

Soft power – secondo la defnizione sintetica ma esaustiva che ne dà Wikipedia – è un termine utilizzato nella teoria delle relazioni internazionali per descrivere l’abilità di un potere politico di persuadere, convincere, attrarre e cooptare, tramite risorse intangibili quali “cultura, valori e istituzioni della politica”.

Il termine è stato coniato al principio degli anni novanta da Joseph S. Nye, Jr., della Harvard Kennedy School of Government, secondo cui a dominare l’atlante geopolitico nel mondo globalizzato debba essere non lo scontro di civiltà, ma un complesso meccanismo di interdipendenze (appunto, il soft power), attraverso cui gli Stati Uniti potessero migliorare la propria immagine internazionale e rafforzare il proprio potere, in contrapposizione all’esercizio dell’hard power, e della conseguente dispendiosa ricerca di nuovi e costosi armamenti.

Per il Regno Unito, il calcio sta diventando un’arma sempre più importante nel suo arsenale soft power. Con uno dei campionati più popolari al mondo, gli effetti della copertura televisiva internazionale danno una grande spinta per la reputazione e l’influenza della Gran Bretagna all’estero.

Questo è il motivo per cui – secondo Chadwick – l’accordo Premier League Suning è particolarmente significativo: la quota record, la promessa di una migliore copertura, e la possibilità di coinvolgere un pubblico più ampio è buono non solo per il campionato in sé, ma anche per il governo britannico.

 

Lo sport è uno strumento classico del soft power. Esso consente a un paese di entrare in contatto con il mondo, comunicare un insieme di valori che cerca di difendere, progetto di una immagine che vuole che gli altri hanno di esso e di accedere alle risorse e ai mercati di tutto il mondo.

In qualche modo è anche quello che la Cina sta facendo nei confronti del resto del mondo: l’incursione nel mondo del calcio è effettivamente una estensione della politica esistente, certamente alternativa ad altre vie più radicali.

In questo senso, quindi, l’esponente più importante del calcio come strumento di soft power è il Regno Unito. Il governo Britannico ad esempio da anni ha attivato un programma di concerto con la Premier League, chiamato Premier skills, che punta alla diffusione della lingua inglese all’estero.

Dal Qatar a Rio de Janeiro, la Gran Bretagna è stata protagonista assoluta di eventi di promozione dei valori sportivi quest’estate.  Il messaggio centrale è stato quello legato allo sport, ma quello decisivo è che l’Inghilterra attraverso lo sport è pronta a stringere nuovi rapporti commerciali e di investimento con tutto il mondo.

Questo atteggiamento della Gran Bretagna non è certo nuovo e risale all’epoca coloniale. Non a caso il sistema sportivo inglese (in cui sono estremamente popolari sport come il cricket o il rugby a 13 che vengono tipicamente giocati nel Commonwealth e poco oltre) è profondamente diverso da quello europeo e celebra la sua esistenza periodicamente proprio con i giochi del Commonwealth, l’ultima edizione dei quali si è svolta a Glasgow nel 2014.

Le relazioni calcistiche tra Inghilterra e Cina non sono certo nuove: il primo a percorrere la strada fu Tony Blair, successivamente imitato – prima che il referendum lo inducesse alle dimissioni – anche da David Cameron: non è un caso se l’immagine qui sotto, con Sergio Aguero e Lin Xinping scattata all’Academy del Manchester City ha fatto il giro del mondo.

Calcio Cina, Xi Jinping con Aguero e il premier inglese Cameron
Mondiale del Centenario 2030, Xi Jinping con Aguero e il premier inglese Cameron

Ovviamente non mancano le critiche, soprattutto da chi vede il calcio come un sistema interno da difendere e avanza la frequente critica secondo cui il calcio ha venduto la sua anima per denaro televisione, sponsorizzazioni e investimenti all’estero.

Ma questo è ciò che il calcio è diventato. Stupisce, piuttosto, come l’Italia che alla fine degli anni ’90 dominava il mondo attraverso la sua Serie A, non sia mai riuscita a fare leva su questo valore. Così oggi ci troviamo in una situazione in cui, mentre la Cina e Qatar hanno le tasche per far crescere il loro soft power, la Gran Bretagna e la Premier League stanno attingendo alla loro esperienza e potenza sportiva esistente per ridefinire il proprio ruolo nello scacchiere mondiale.

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Un bresciano a Manchester. Tra giornalismo economico e football scouting