“Se non vi piace è un buon segno”. Parola di Sergio Spinelli, direttore delle risorse umane della Juventus, che sui social network ha postato una sua riflessione a proposito del nuovo logo realizzato da Interbrand.
E le parole di Spinelli confermano e avvalorano anche quelle che Lidi Grimaldi, Executive Director dell’ufficio italiano di Interbrand (una realtà già presente nello sport, che ha lavorato tra gli altri con Shaktar, Rubin Kazan, Dinamo Tblisi, FIFA e le Olimpiadi di Sochi) ha rilasciato in una intervista a CF – calcioefinanza.it.
“La Juventus vuole diventare più di una squadra di calcio – spiega Spinelli – vuole essere una società azienda a tutti gli effetti: un marchio che abbraccia molti settori, da quello editoriale al commerciale, passando per quello dei media”.

Un cambiamento radicale, quello voluto dalla Juve, che Interbrand ha spiegato cosi: “Il brief che abbiamo ricevuto – sono le parole di Grimaldi – è stato molto sfidante e ambizioso e puntava alla creazione di un nuovo linguaggio per espandersi su nuovi mercati e nuovi target. La domanda prevedeva già un cambiamento radicale, magari non in maniera esplicita ma sottointendendo a grandi ambizioni di crescita. Si richiedeva una differenza rispetto ai classici codici di comunicazione in uso nel calcio”.
“Il marchio – aggiunge Spinelli – è solo la pillola rossa di Matrix, un piccolo varco oltre il quale si va a scoprire quanto è profonda la tana del Bianconiglio”.
Ma quanto porta in termini di valore un nuovo brand? “Ha senso parlare di un piano di crescita che la Juventus sta portando avanti. Noi ci occupiamo di brand in senso lato e sui settori più disparati. L’importanza è quella di avere un impatto sulle revenue ma anche sulla capacità di diminuire i rischi, perchè generano fedeltà. Questi sono i due elementi per i quali siamo noti, ogni anno pubblichiamo uno studio che stima il valore economico del brand. Un indicatore sintetico di indicatore economico che viene calcolato”.
Una indicazione non indifferente quella del “diminuire i rischi”. Già una analisi di CF – calcioefinanza.it sui dati di bilancio della Juventus aveva mostrato come i ricavi del club sono ancora troppo dipendenti dagli incassi variabili della Champions League.

Tutti abbottonatissimi, comunque, sulle nuove attività che verranno sviluppate, anche sui J Cafè, i bar ristoranti juventini (secondo un modello che si sta diffondendo nello sport al massimo livello) che pure figuravano tra le immagini che si sono viste alla presentazione e sono state diffuse. “E’ stata presentata una galleria di attività diverse – si è limitata a dire l’executive director Interbrand – con diverse immagini ma ad oggi non è ancora definibile il richiamo di sviluppo del brand su altre categorie. Ma come il presidente ha detto il Dna e la ragion d’essere rimane il campo da calcio ma oggi un club sostenibile come la Juventus deve necessariamente trovare nuove opportunità”.
La Juventus cambia la sua identity a 12 anni dal logo precedente (che aveva già visto Interbrand partecipare). Ma quanto velocemente vedremo questi cambiamenti in futuro? Possibile immaginare una evoluzione continua come accade in campionati come l’NBA? “Questa è – spiega sempre la manager Interbrand – una novità necessaria per facilitare un piano di crescita e di sviluppo economico. Per quella che è la nostra esperienza un progetto di design riflette un cambiamento all’interno dell’azienda e quindi si tratta sempre di un progetto strategico di medio lungo periodo. Questo succede anche in altri settori industriali”.
Anche per questo, la Juventus, attraverso il suo head of HR ha voluto provocatoriamente dire che: “Il nuovo logo non deve necessariamente piacere, ma deve sorprendere, dev’essere il contrario di tutto quello che gli altri si aspettavano, deve rispondere ad esigenze che non sapevamo di avere, come tutte le novità che prima ti lasciano perplesso e poi ti conquistano”.