contraffazione logo juve plagio soldering lorenzo
Gonzalo Higuain Juventus e Andrea Masiello Juventus-Atalanta - Serie A Foto Filippo Alfero/Insidefoto

Sin dal momento della presentazione del nuovo Logo Juventus sui social network si è scatenata – all’interno della bagarre sui giudizi personali sulla bellezza estetica del logo stesso – la caccia alla contraffazione.

L’eco di una precedente maldestra operazione di comunicazione, in occasione della campagna abbonamenti 2015-2016, è ritornato in lontananza e ben presto i cacciatori di plagi hanno avuto due esempi su cui discettare.

Nuovo Logo Juventus contraffazione logo juve plagio soldering lorenzo
Nuovo Logo Juventus

Il logo della Juventus sarebbe secondo molti troppo uguale a quello del tennista Robin Solderig, e secondo molti altri a quello usato dal motociclisa Jorge Lorenzo.

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Il logo di Robin Soldering

Per capire quando si possa a ragione parlare di copiatura o addirittura di plagio abbiamo interrogato il prof. Cesare Galli, avvocato e titolare della cattedra di Diritto industriale nell’Università di Parma, dal 2002 figura nelle guide specializzate internazionali come uno dei maggiori specialisti italiani nella difesa della proprietà industriale.

“Serve anzitutto una premessa – ci ha risposto il prof. Galli -: un logo usato per contraddistinguere un’attività economica (e anche lo sport professionistico, ovviamente, va considerato tale) è un marchio, esattamente come i segni denominativi. Da questo punto di vista, dunque, non c’è una sostanziale differenza tra “Juventus”, marchio denominativo, e gli altri simboli della squadra: tutti sono tutelati come strumenti di comunicazione, cioè come portatori di un messaggio, simboli di tutto ciò che nell’immaginario collettivo è collegato alla squadra”.

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Il logo di Jorge Lorenzo

Una premessa utile per arrivare al punto: possono convivere tra loro sul mercato segni così simili come quelli che abbiamo visto? “Dipende dall’uso concreto che di questi segni verrà fatto e da come il pubblico li potrà percepire, in relazione a quest’uso. Dipende cioè dalla capacità di chi li utilizzi di impiegarli con modalità e in contesti tali da evitare che il pubblico si confonda o anche semplicemente sia portato a istituire “collegamenti” tra questi segni, che “contaminino” i rispettivi messaggi”.

“In questo – sostiene sempre il prof. Galli – si coglie la differenza capitale tra l’attività di un contraffattore e quella di chi ha creato un segno autonomo, ancorché simile: il contraffattore non punta a diffondere un proprio messaggio, ma attraverso l’uso di un segno uguale o molto simile a quello altrui mira ad agganciarsi al messaggio che a tale segno è collegato, sfruttandone le valenze positive; chi invece al segno pur simile ricollega un proprio messaggio del tutto autonomo dal primo riesce di regola a evitare ogni agganciamento e contaminazione”.

Rimane ovviamente la situazione in cui i segni sono troppo simili o i settori di impiego sono troppo vicini o addirittura gli stessi, il rischio di interferenze sussiste: “Quando si verifica un conflitto, esso va ovviamente risolto a favore del primo soggetto che ha registrato il suo marchio nel settore in cui la sovrapposizione ha luogo o vi ha conseguito notorietà. E si noti che sport, fashion e luxury goods in genere presentano oggi zone di sovrapposizione estesissime, anche in ragione degli estesi fenomeni di “brand stretching” per cui un marchio nato in un determinato ambito finisce per diventare notissimo anche in campi apparentemente lontani, su cui però è in grado di riverberare il suo valore comunicazionale: cosicché i conflitti tra segni distintivi nati in questi diversi settori sono all’ordine del giorno”.

In concreto la risposta non può essere univoca, ma chiaro è l’atteggiamento e l’orientamento di chi promuove un nuovo logo: “Bisogna operare con estrema prudenza per evitare di vanificare investimenti effettuati per lanciare un segno che poi si può essere costretti ad abbandonare o, peggio ancora, effetti boomerang, che possono danneggiare la stessa reputazione del titolare. E questo conferma che l’approccio ad una gestione efficiente e di successo (anzitutto sportivo, ma anche economico) di un fenomeno di straordinario valore comunicazionale e simbolico come il calcio, non può che essere multidisciplinare, mettendo a fattor comune le competenze, oltre che di coloro che gestiscono l’aspetto agonistico di questo meraviglioso sport, anche degli esperti di comunicazione e di marketing e di quelli di proprietà intellettuale, per valorizzare e difendere al meglio i diritti che si possono creare in questo mondo e, al tempo stesso, evitare di violare i diritti altrui”.

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Un bresciano a Manchester. Tra giornalismo economico e football scouting