Una delle fonti d’entrata con più potenzialità di crescita nei prossimi anni per i club europei è legata ai naming rights, ovvero ai diritti legati alla denominazione del proprio stadio.

Un aspetto che nello sport statunitense rappresenta invece una delle voci centrali, con contratti faraonici che a volte riguardano anche solo un’entrata o un settore dello stadio e più spesso l’intero impianto.

Una recente ricerca dell’Uefa ha evidenziato come l’Italia (anche per la mancanza di impianti di proprietà) sia solo dodicesima per questo tipo di entrate, mentre i paesi del Nord Europa abbiano da tempo valorizzato i loro stadi in questo senso.

Ma quel che risalta, negli ultimi mesi, è soprattutto l’approccio spesso divergente e comunque assai variegato, che molte società hanno nella commercializzazione dei nomi degli stadi.

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Juventus Stadium (Insidefoto.com)

Curioso è ad esempio l’atteggiamento di Sportfive, società del gruppo francese Lagardère, che si è aggiudicata, per 75 milioni di euro dal 2011 al 2023 il diritto esclusivo di trovare gli sponsor che legheranno il loro nome all’impianto della Juventus (come evidenziato da CF – calcioefinanza.it in una recente analisi). Una società che di fatto sta pagando per chiamare “Juventus” lo Stadium.

Il club bianconero, del resto, non incasserebbe nulla in caso di aggiunta di una denominazione commerciale, perchè tutto andrebbe alla società francese.

L’unico vincolo per la società francese è che l’azienda che legherà il proprio nome allo stadio non potrà essere né un concorrente dello sponsor tecnico della Juventus, né una casa automobilistica (per via del legame tra il club e la Fiat).

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Alla ricerca di uno sponsor sono anche Tottenham Hotspur e Chelsea, che sono alle prese con importanti progetti di rifacimento dei rispettivi impianti: White Hart Lane e Stamford Bridge. Al contrario il Manchester United aveva valutato l’idea ma ha poi deciso di mantenere intatto il nome Old Trafford, a differenza dei cugini del City che hanno trasformato il City of Manchester Stadium in Etihad.

Una scelta, questa, decisamente più facile visto che il giovane stadio nato nel 2002 per i giochi del Commonwealth non portava con sè tutta la storia dell’impianto dei Red Devils. Dal 2011, quindi, è Etihad Airlines a dare il nome non solo allo stadio ma all’intero Campus che comprende tutti gli impianti sportivi e il centro del settore giovanile oltre all’accordo per la sponsorizzazione di maglia. Un accordo da 200 milioni di sterline in 10 anni (20 all’anno) che se nel 2011 destò scalpore ad oggi sembra assolutamente in linea, se non sottostimato, rispetto ai valori di mercato.

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Nel frattempo il dilemma tocca come detto Spurs e Chelsea. Ma anche il West Ham, che a sei mesi dal passaggio all’Olimpico di Londra sta ancora cercando un partner.

L’obiettivo dichiarato dal presidente del Tottenham, Daniel Levy, è di raccogliere più di 400 milioni di sterline dalla vendita dei diritti di denominazione dello stadio da 61.000 posti. L’obiettivo è garantire un accordo redditizio a lungo termine per aiutare a finanziare il progetto che costa 700 milioni di sterline in totale. Finora sono state contattate più di 300 aziende, ma non si è giunti ad un accordo.

Il Chelsea nel frattempo ha ricevuto il permesso di pianificazione per costruire uno stadio di 60.000 posti sul sito di Stamford Bridge il mese scorso. In questo caso l’idea è quella di mantenere il nome storico a cui aggiungere quello di un partner commerciale.

Una operazione simile a quella del Newcastle United che dal 2009-2010 ha ribattezzato il suo stadio Sportsdirect.com @ StJames’Park. Operazione, questa, che ricorda quella dell’Inter che recentemente ha introdotto lo sponsor Suning nella denominazione del centro sportivo di Appiano Gentile che ora si chiama Centro di allenamento Suning in memoria di Angelo Moratti.

Suning Training Centre
(foto Inter.it)

Inevitabile infine richiamare alle scelte che riguardano anche l’Amsterdam Arena. Discussione aperta tra alcuni soci che vorrebbero chiamare lo stadio Johan Crujiff mentre altri preferirebbero puntare su un accordo commerciale. Tra i due si è inserita la famiglia del grande numero 14 che ha posto il veto: l’utilizzo del nome sarà concesso solo se non affiancato da quello di un’azienda.

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