Dopo la rielezione Carlo Tavecchio è più forte ed ha l’opportunità di liberarsi della marcatura scomoda di Claudio Lotito, suo sodale fin dall’inizio. Ne parla oggi il Corriere della sera che racconta come il Tavecchio bis nasca su presupposti diversi rispetto al primo mandato dell’ex sindaco democristiano di Ponte Lambro.

Rispetto all’estate 2014 il presidente della Lazio è stato soprattutto fonte di imbarazzo. Bastava guardarlo nei frenetici momenti prima della terza votazione dentro l’hotel Hilton a Fiumicino, mentre Tavecchio e i suoi discepoli cercavano di capire come mai nel secondo scrutinio Abodi avesse recuperato quasi il tre per cento dei voti. Sibilia, gran capo dei Dilettanti, con freddezza ha provveduto a blindare i delegati della sua Lega. E altrettanto ha fatto Ulivieri con gli allenatori.

Lotito, invece, sguaiato e appesantito, si è sistemato davanti alla postazione della Lega di A, fermando i presidenti che entravano, mettendogli spesso una mano sul braccio in una sorta di appello disperato in romanesco: «Aho, me raccomando». Tavecchio, influenzato e debilitato, non l’ha presa bene. Lotito sta diventando una zavorra: invadente, borioso, inviso a molti dei nuovi compagni d’avventura.

La Juventus ha sostenuto Tavecchio, ma lo invita a «ragionare con la sua testa e non con quella di qualcun altro», Marotta dixit. Il riferimento, neppure nascosto, è al laziale. Che peraltro, nella caccia al voto di erosione, non ha portato granché alla causa: B e Lega Pro, i bacini dove aveva promesso di recuperare voti, si sono schierati quasi compatti per Abodi.

Tavecchio ha fondato il successo sui Dilettanti e sugli allenatori. Nel nuovo quadriennio Sibilia e Ulivieri saranno gli uomini forti e uno dei due diventerà quasi certamente vicepresidente federale. Sibilia, politico consumato e abile stratega, ha aiutato non poco il vincitore a trascinare dalla sua parte gli arbitri nella notte che ha preceduto il voto. Una mossa decisiva. E Ulivieri ha vinto il confronto, anche dialettico, con Tommasi.

Già nell’ultimo anno del primo mandato, Lotito e Tavecchio, formalmente, si erano allontanati. Ora il presidente ha deciso di chiudere l’ufficio al quinto piano di via Allegri, destinato a Beretta, ma nel regno di Carlo I usato quasi sempre dal vicerè Claudio. Una mossa simbolica, se vogliamo. Soprattutto un segnale.

Ma il destino di Lotito e la sua carriera politica nel calcio sono nelle mani della serie A. La spallata decisiva gliela devono dare i suoi colleghi. Tocca alla Juve e ai suoi alleati cercare di emarginarlo. La Lega di Milano, ancora senza guida, è il primo grande problema del nuovo presidente. Tavecchio ha inviato una lettera a Beretta, invitando la Confindustria del pallone a eleggere presidente e consiglieri federali e se possibile farlo in fretta, entro il 15 marzo, seguendo l’indicazione del Coni e rispettando le norme alla fine del quadriennio olimpico (il commissariamento è comunque, al momento, un’ipotesi lontana).

Intanto a Milano il presidente della Sampdoria, Ferrero, che ha votato Tavecchio, mira a diventare il catalizzatore delle medie piccole e a farsi largo nella gerarchia pallonara: sarà lui il nuovo Lotito? Il dialetto è lo stesso…

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