Non c’è solo il mercato cinese e arabo a spostare l’asse del calcio mondiale verso l’est del globo. Chi negli ultimi anni ha bussato alla porta dello sport business mettendo sul piatto capitali, sono i Paesi del Caucaso: repubbliche ex sovietiche che, dopo l’indipendenza dei primi anni novanta, si stanno affacciando alla frontiera d’Europa potendo sfruttare a pieno le grandi risorse del territorio come petrolio e gas.
A recitare la parte del leone c’è soprattutto l’Azerbaijan, che dopo aver scritto pagine importanti della storia degli scacchi, oggi ha scoperto il resto dell’offerta sportiva e da tre anni a questa parte sembra essere diventato l’ombelico del mondo. Giochi Europei del 2015 – evento al quale hanno preso parte 6.000 atleti di 50 nazionalità e di 20 discipline differenti -, Gran Premio di Formula 1 – con tracciato cittadino disegnato dal noto progettista Hermann Tilke -, Europei under 17 di calcio del 2016, e poi il fiore all’occhiello di anni di palcoscenico sportivo: Euro 2020. Nel primo Europeo itinerante della storia del calcio, Baku è infatti una delle tredici città designate per ospitare l’evento. Qui si giocheranno quattro partite.
Dietro candidature e investimenti non si cela però un’improvvisa voglia di partecipare da parte degli azeri, ma si tratta di un piano ben preciso di Ilham Aliyev: un passato da uomo d’affari nel campo del petrolio sull’asse Mosca-Istanbul, e oggi presidente dell’Azerbaijan dopo che le elezioni de 1993 lo hanno eletto successore del padre Meydar.
In riva al Caspio Aliyev ha capito che investire nello sport è il miglior biglietto da visita da presentare al resto del mondo, ma allo stesso tempo un modo per coprire problemi interni di un paese con un PIL pro capite che non raggiunge i 10.000 dollari e che Human Rights Watch ha classificato il Paese come “non libero“, e non conta il fatto che negli ultimi anni la forbice reddituale tra i grandi oligarchi del petrolio e gli strati più bassi della popolazione si sia allargata: la priorità è quella di costruire un brand nazionale e consolidare la bontà del suo governo portando il Paese a conoscenza di un’Europa che oggi non riesce a individuarlo così facilmente sull’atlante.
Il gran galà sportivo non sembra però essere terminato qui. Dopo aver consegnato al Paese strutture sportive da un miliardo, e bocciate dalla popolazione come “inutili e senza futuro“, nei piani di Aliyev il prossimo passo è quello di presentare la candidatura per ospitare i Giochi olimpici veri e propri, quelli del 2028.
Il crollo del prezzo del petrolio – che nell’economia azera ha un impatto sul bilancio di circa il 70% e di15 miliardi di dollari – ha fermato un tasso di crescita nazionale che nel 2006 arrivò fino al 35% e ha trascinato il Manat a una svalutazione del 30% rispetto alle principali valute mondiali.
Il calcio continua comunque a rappresentare il mezzo per valorizzare l’immagine dell’Azerbaijan all’estero. Nel 2013 l’ente statale del turismo ha firmato con l’Atletico Madrid, poi vice-campione d’Europa a Lisbona, un contratto di sponsorizzazione per 12 milioni di euro a stagione.
Un accordo che ha portato i Colchoneros in trasferta a Baku e che ha visto uno stage degli uomini di Simeone che si sono allenati con i giovani talenti azeri.
A capo dell’ente c’è Hafiz Mammadov, uomo d’affari del gruppo Baghlan con attività nel campo finanziario e degli idrocarburi. Mammadov conta legami importanti con Porto e proprio con l’Atletico e, dopo la fallita scalata allo Sheffield Wednesday, nel 2014 ha rilevato il 60% delle quote del Lens, salvo poi farsi salvare in extremis dagli amici del Calderòn, che pochi mesi fa sono intervenuti rilevando il 35% del pacchetto azionario dopo promesse mancate e stipendi non pagati da parte del magnate azero. Non sono stati tuttavia soltanto gli spagnoli a viaggiare alla volta del Caspio.
Uno stage a Baku lo ha fatto anche il Manchester United in virtù di un contratto stipulato con l’azienda di telefonia mobile Backcell: la stessa che in una campagna pubblicitaria ha fotografato i Red Devils con i telefoni all’orecchio e che in Azerbaijan ha poi rilevato i naming-rights dello stadio dell’Inter Baku.
In patria si gioca la Premyer Liqasi: torneo a otto squadre tutte di proprietà dei grandi oligarchi del petrolio, spesso collusi con il governo centrale. E di rapporti poco chiari ne ha anche la la Affa, la Federcalcio azera.
Dal 2008 al comando c’è infatti Rovnag Abdullayev, presidente della Socar: l’azienda statale di petrolio e gas. Un colosso da 20 miliardi di dollari, stima Forbes. Dopo gli anni di sponsorizzazione Unibank – la più importante banca privata azera -, il nuovo main-sponsor della Premier League in salsa caucasica è da cinque stagioni la compagnia di scommese sportive Topaz.
L’impressione è che il tasso tecnico generale si stia alzando. Tra Gabala, Qarabag, Inter Baku e Neftci, la presenza dei club locali al sorteggio di Europa League di fine agosto è ormai un habituè, e la loro partecipazione non è più una semplice comparsa.
Ultimamente è però la Nazionale a dare soddisfazioni. Dopo gli otto anni del tedesco Berti Vogts, la volontà di Aliyev è stata quella di affidare il ruolo di commissario tecnico a un volto conosciuto del panorama mondiale.
Quella di Robert Prosinecki è probabilmente la gestione più positiva della storia del calcio azero.
Dal 135° posto nel ranking FIFA, con il croato in panchina dal 2014 l’Azerbaijan ha raggiunto la posizione numero 73, assestandosi oggi all’87° posto.
Alle qualificazioni per Russia 2018 la Nazionale non è mai stata competitiva come adesso, e in un girone con Germania e Irlanda del Nord, la Milli ha ottenuto due vittorie e un pareggio in cinque partite, mantenendo aperta la chance di arrivare ai Mondiali.
Ma il calcio non è esente da problemi. Se pur equilibrata, la Premyer non attira. Nonostante la presenza di partner affidabili come lo sponsor tecnico Adidas, negli anni scorsi cinque club sono finiti in liquidazione e la Federazione è stata così costretta a ridurre il numero di partecipanti alla massima divisione.
La media spettatori è bassa, gli incassi al botteghino e quelli derivanti dal merchandising sono inesistenti. La commercializzazione dei diritti tv ha portato il calcio azero nei salotti di Svizzera, Austria, Russia e Germania, ma senza stelle di grido non c’è appeal. Manca una star che possa fare da spot al movimento.
Chi gioca fuori dai confini nazionali lo fa in realtà di secondo livello come Boavista, Cadice e Bursaspor. Lontano dai grandi palcoscenici, non c’è salto di qualità per giocatori come Ramil Sheydayev – attaccante di vent’anni del Trabzonspor -, o il portiere Kamran Aghayev – tra i calciatori azeri con più esperienza -, o ancora Dimitrij Nazarov, forse il più talentuoso elemento nazionale oggi in circolazione.
Il sogno di Aliyev è quello di portare la Champions League nel nuovissimo Olimpiya Stadionu, finanziato dalla Socar e costato la bellezza di 650 milioni di dollari per i Giochi del 2015, ma di fatto inutilizzato quando non gioca la Nazionale. L’obiettivo è ancora lontano, ma per il presidentissimo azero è già una vittoria.