doppio Clasico estivo
Cristiano Ronaldo e Lionel Messi (Insidefoto.com)

Lionel “la pulga” Messi, Cristiano “CR7” Ronaldo, José “special one” Mourinho: tre big del calcio mondiale che praticamente tutti conoscono, anche i non appassionati.

Normalmente siamo abituati a veder magnificare dalla stampa i loro trionfi sportivi o, tutt’al più, a vederli protagonisti di eventi mondani, di spot pubblicitari o coinvolti in qualche gossip. Di recente, tuttavia, i media hanno dovuto occuparsi di loro per vicende di tipo completamente diverso: tutti e tre sono stati accusati dal fisco spagnolo di presunte evasioni fiscali, con risvolti addirittura di natura penale.

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Alle tre superstar – da quanto si è letto sui giornali – è stato contestato di aver occultato al fisco spagnolo parte dei loro redditi, utilizzando delle società straniere, a loro riconducibili, titolari dello sfruttamento dei rispettivi diritti d’immagine.

Si tratta di situazioni che in passato hanno costituto oggetto di accertamento fiscale anche in Italia: i casi di Maradona (soprattutto) e di De Napoli hanno avuto grande risalto dai nostri media.

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Diego Maradona ai tempi del primo scudetto del Napoli (foto: wikipedia)

Nelle vicende citate, l’erario italiano aveva ipotizzato una manovra evasiva così sintetizzabile: a latere dei contratti di prestazione sportiva, le squadre per cui militavano i calciatori avrebbero solo formalmente concluso degli accordi con le società straniere titolari dei diritti d’immagine degli sportivi; accordi che nella realtà sarebbero stati esclusivamente degli strumenti finalizzati a qualificare, sia soggettivamente che oggettivamente, in modo diverso – e quindi a sottrarre a tassazione in Italia – una parte dello stipendio dei calciatori.

Secondo la normativa tributaria italiana, le contestazioni mosse ai tre big del calcio possono essere effettuate laddove l’Agenzia delle entrate riesca a dimostrare – attraverso gli strumenti probatori che l’ordinamento tributario le mette a disposizione (comprese le presunzioni) – che si sia verificata una c.d. “interposizione fittizia”: vale a dire, una dissimulazione della realtà, attraverso la quale un reddito spettante a un soggetto venga solo apparentemente imputato a un altro.

Fornita detta prova, il reddito formalmente maturato dalla società straniera, titolare dello sfruttamento del diritto d’immagine, verrebbe attribuito al reale titolare, vale a dire allo sportivo.

A quest’ultimo, quindi, verrebbe contestata la mancata dichiarazione del reddito in questione, con conseguenti richiesta di pagamento delle imposte non assolte (oltre agli interessi di legge) e irrogazione delle sanzioni tributarie previste per chi si renda colpevole di evasione fiscale.

Qualora il reddito dissimulato abbia natura di reddito di lavoro dipendente, anche alla società datrice di lavoro (cioè, il club per cui è tesserato lo sportivo) verrebbero contestate violazioni di mancata effettuazione e mancata dichiarazione delle ritenute a titolo di acconto che devono essere operate sugli stipendi di ogni dipendente.

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Per quanto riguarda i profili penali, poi, il singolo caso potrebbe configurare un reato qualora la pubblica accusa riesca, innanzi tutto, a provare che il soggetto inquisito abbia agito con dolo: il nostro sistema penal-tributario, infatti, contempla solo reati dolosi, non essendo invece perseguibile in tale ambito un comportamento colposo.

La volontà di evadere le imposte deve poi accompagnarsi alla sussistenza di alcune circostanze oggettive – da verificare per singolo anno d’imposta e non su tutto l’arco pluriennale della vicenda oggetto di contestazione – relative all’imposta evasa e all’importo del reddito evaso.

Si tratta di soglie di rilevanza che, soprattutto alla luce degli stipendi riconosciuti dalle squadre italiane di serie A, non sono difficilmente raggiungibili.

Nel caso del reato di “dichiarazione infedele” (configurabile per il solo fatto di aver volontariamente realizzato un’evasione numericamente significativa), la singola imposta evasa nell’anno deve superare i 150 mila Euro e contemporaneamente l’imponibile occultato deve essere superiore al 10% di quello dichiarato (se l’imponibile non dichiarato supera i 3 milioni di Euro questa seconda soglia è automaticamente raggiunta).

Qualora invece si arrivi a contestare il più grave reato di “dichiarazione fraudolenta” (che richiede, oltra al dolo di evasione, anche l’utilizzo di specifici artifici fraudolenti), le soglie numeriche si abbassano drasticamente a 30 mila Euro (imposta evasa) e al 5% dell’imponibile dichiarato (o, in ogni caso, importo superiore a 1.500.000 di Euro).

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L’avvocato Gianluca Boccalatte, che ringraziamo per questo suo contributo, è partner dello Studio Biscozzi Nobili.

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Fondato nel 1977, Biscozzi Nobili è tra gli studi professionali leader in Italia nel settore tributario con la caratteristica distintiva e differenziante di fornire una consulenza integrata e sinergica tra le aree fiscale, legale, anche per le attività di M&A e di Corporate Finance, e del contenzioso tributario. Lo Studio conta attualmente su un team di circa 50 professionisti tra avvocati e dottori commercialisti, attivi nella sede di Milano, in grado di assistere i propri clienti sia in Italia che all’estero, grazie a relazioni privilegiate con network internazionali e studi professionali locali.

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