Dal Varese alla Juventus, passando per tante esperienze tra cui soprattutto quelle di Venezia (conquista della Serie A), Atalanta e Sampdoria (dalla B alla Champions League).
La parabola di Beppe Marotta è ripercorsa da Il Sole 24 Ore che in una lunga intervista racconta la storia del dirigente, naturalmente in una ottica sportivo economica.
In questi anni, per la Juve si è concretizzato un clamoroso turnaround anche sul piano dei conti.
Un risanamento portentoso per un’azienda “speciale”, come sono quelle calcistiche, passata da un deficit di 95 milioni nel 2011 a un attivo di 4 milioni nel 2016, con un raddoppio del fatturato da 172 a 388 milioni.
Il tutto in un regime di sostanziale “autarchia”, dopo i 120 milioni iniettati dagli azionisti all’inizio del nuovo ciclo.
Performance che hanno indotto la Figc ad iscrivere il nome di Beppe Marotta nella Hall of Fame del calcio italiano.
Marotta spiega che la vittoria più coinvolgente è stata la prima dell’era contiana, contro il Cagliari a Trieste. Mentre la sconfitta più cocente è senza dubbio Cardiff.
Ma include i due passaggi in un suo mantra, ovvero una citazione di Mandela: “Io non perdo mai: o vinco o imparo”.
E da Cardiff, sostiene Marotta, la Juve ha già imparato: “Chiamiamolo il know-how che serve per ottenere certi trofei. Un mix di esperienza e di capacità di essere lucidi nei momenti topici. Per cui per noi la sfida riparte. Siamo ancora più determinati”.
Il dopo Juve? «Certo non mi vedo in un altro club – conclude Marotta -. Piuttosto vorrei dare un contributo alla politica sportiva, mettere a disposizione la mia esperienza per provare a salvaguardare almeno nel calcio non di vertice quella valenza sociale ed etica che fa dello sport qualcosa di imprescindibile».
Sul piano della filosofia dirigenziale Marotta non è un accentratore. Come vertice della catena di comando preferisce circondarsi di uomini e donne di grandi qualità (non di yesman, per intenderci) delegando e responsabilizzando ogni collaboratore. «La Juventus – dice con orgoglio – è una azienda con oltre 500 dipendenti che aspira a consolidarsi come una delle più importanti e profittevoli multinazionali dello SportSystem. Penso perciò che ciascuno debba essere messo nella condizione di dare il meglio di sé e di contribuire al successo collettivo. La stessa filosofia deve permeare la compagine dei calciatori e lo staff tecnico, come i diversi settori dell’industria Juventus. E la stessa fiducia deve essere alla base del rapporto con la proprietà».
Una proprietà “con cui è indispensabile dialogare, nel rispetto dei ruoli. Occorre saper mantenere le giuste distanze, con equilibrio e senso di responsabilità”.