«A Torino la ‘ndrangheta si è inserita come intermediaria e garante nell’ambito del fenomeno del bagarinaggio gestito dagli ultras della Juventus, arrivando a controllare i gruppi ultras che avevano come riferimento diretto diverse locali di ndrangheta». È quanto si legge nella relazione su mafia e sport approvata oggi all’unanimità dalla Commissione parlamentare Antimafia e presentata dalla presidente della Commissione Rosy Bindi e dal coordinatore del comitato Mafia e Sport, Marco Di Lello (PD).
«Al di là degli esiti dei processi, sia penale sia sportivo (in cui sia la procura federale che la difesa della Juventus hanno presentato ricorso) dall’inchiesta emerge un quadro molto preoccupante di infiltrazione ‘ndranghetista nei gruppi di tifosi organizzati della Juventus, che deve suonare come qualcosa di più di un campanello di allarme non solo per la società torinese ma anche per tutte le altre squadre e per i rappresentanti delle istituzioni del calcio», si legge ancora nella relazione.
«Non poteva non destare la nostra attenzione il fatto che persino la società calcistica più importante d’Italia venisse raggiunta dall’interesse delle organizzazioni mafiose», il commento di Rosy Bindi, presidente della Commissione parlamentare antimafia. «Non c’è stata una complicità consapevole – ha proseguito la Bindi – ma la società non è stata vittima. C’è stata una sottovalutazione del rischio, ma questo lo abbiamo constatato nell’interlocuzione con diverse società calcistiche».
«Servirebbero più responsabilità e più consapevolezza, tutti i presidenti auditi hanno risposto ad alcune nostre domande: “non lo so, non lo sapevo, non era compito mio..” e questo non va bene. Quando la consapevolezza è maturata – ha aggiunto Bindi riferendosi alla Juventus – la società si è data delle regole che la potranno rendere più forte, anche se non dico immune». La Commissione antimafia ha effettuato una visita ricognitiva allo stadio della Juventus e allo stadio Olimpico, «il sistema e la struttura allo stadio della Juventus dà certamente maggiori garanzie sul fronte della sicurezza», ha concluso la Bindi.
Una situazione presente anche in altre città. «In alcuni casi i capi ultras sono persone organicamente appartenenti ad associazioni mafiose o ad esse collegate, come ad esempio a Catania o a Napoli; in altri casi ancora, come quello del Genoa, sebbene non appaia ancora saldata la componente criminalità organizzata con quella della criminalità comune, le modalità organizzative e operative degli ultras vengono spesso mutuate da quelle della associazioni di tipo mafioso», prosegue la relazione dell’Antimafia approvata oggi.
«Non sempre l’attività illecita o violenta dei gruppi ultras riceve la necessaria attenzione mediante attività di polizia giudiziaria, e della magistratura, ad esse specificamente dedicate; a tal fine appare senz’altro auspicabile una sempre maggior condivisione delle informazioni raccolte», continua l’Antimafia.
Tra le conclusioni, l’Antimafia spiega che «Il rapporto tra la mafia e le tifoserie è la porta d’ingresso che consente alla criminalità organizzata di tipo mafioso di avvicinarsi alle società per il tramite del controllo mafioso dei gruppi organizzati; le forme di estremismo politico che in essi allignano, inoltre, rischiano creare saldature con ambienti criminali mafiosi ancora più preoccupanti per la sicurezza e la vita democratica. Ferma restando la capacità di infiltrazione della mafia in ogni ambito ove si prospettano opportunità di illecito arricchimento, tale avvicinamento è consentito anche dalla concomitanza di alcuni fattori di debolezza delle società sportive che si traducono in fattori di rischio per l’intero sistema calcistico», conclude la relazione dell’Antimafia.
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