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Esultanza dei giocatori del Manchester City (Insidefoto.com)

La notizia calciofinanziaria del giorno si è diffusa ieri sera.

La Premier League ha ceduto 5 dei 7 pacchetti di partite per il triennio 2019-2022 per 4,464 miliardi di sterline (5 miliardi di euro).

Mancano 2 pacchetti, che in passato erano stati venduti a 250 milioni l’uno (280 in euro).

Difficile quindi superare la soglia dei 5,12 miliardi di sterline del passato, pari a 5,62 miliardi di euro.

Significa che dopo il boom del 2016 i ricavi da diritti tv inglesi sono sostanzialmente in calo: più partite, meno investimenti. Sia Sky che Bt, al momento, hanno speso meno.

Sembra lontanissimo il 2014, anno dell’aggiudicazione a prezzi record del triennio 2016-2019 (nel link i dettagli).

Come la Premier League ha incrementato del 70% i diritti tv

Veniamo ai dati reali.

Sky si è impegnata a pagare 3.579 miliardi di sterline per i tre anni del prossimo accordo, una significativa riduzione dei £ 4,1 miliardi delle attuali stagioni 2016-19.

Con questi pacchetti avrà i diritti per 128 partite. Due in più rispetto all’attuale accordo. Ma la cifra investita porterà ad un prezzo medio a partita inferiore: da 10,5 milioni di sterline a 9,3 milioni di sterline.

La stessa emittente si è premurata di evidenziarlo in un comunicato (mandando così un messaggio di oculatezza alla comunità finanziari).

“Sky ha scelto di pagare 1.193 miliardi di sterline all’anno secondo i termini del nuovo accordo – si legge – in calo di 199 milioni di sterline all’anno, una riduzione del costo del 16% per partita rispetto all’attuale accordo“.

Strategia simile per BT sport, che ha dichiarato di essere rimasta “finanziariamente disciplinata”. La seconda piattaforma  si è impegnata a pagare 885 milioni di sterline in totale, 295 milioni di sterline l’anno, per 10 partite in meno, 32 in totale.

Ora rimangono due pacchetti da vendere. Su questi vi è un nuovo esperimento: la trasmissione simultanea di 10 partite, ovvero una intera giornata per 4 giornate infrasettimanali, cosa che rappresenta una novità per la Premier League dove non tutte le partite vanno in tv.

Tra gli interessi riscossi ci sarebbe quello di Amazon. Ma a quale prezzo?

Nel triennio precedente i due pacchetti comprendevano solo 14 partite e vennero ceduti a 250 milioni l’uno (500 totali).

Difficile fare paragoni, diciamo che al momento mancano 600 milioni per pareggiare il conto del triennio precedente.

Ma il risultato della vendita quest’ultima parte è importante soprattutto per un aspetto: capire quale è il valore delle partite minori, ovvero quelle che solitamente non venivano trasmesse.

Non a caso la Premier inizia dalle infrasettimanali: sono quelle con meno ascolti tv ma anche quelle con meno tifosi in viaggio. Un benchmark affidabile che può essere appetibile per lo streaming online.

Crollo degli ascolti tv in Premier League: peggior dato degli ultimi 7 anni su Sky

Alcune valutazioni.

Inanzitutto nello scenario globale pesa la diminuzione degli ascolti registrata (si veda il link sopra) dalle emittenti nella scorsa stagione.

Sfatiamo un mito tutto italiano.

Le tv non vogliono che il calcio sia solo in televisione, che gli stadi si vuotino e il prodotto diventi un loro monopolio.

Le tv vogliono grandi eventi, appetibili, per cui fare il pieno di incassi e di abbonamenti. Se Stoke – Brighton non tira semplicemente offrono meno o non offrono del tutto.

In Inghilterra, dove tutto è stato venduto una partita alla volta e a peso d’oro, questo lo si sta vedendo chiaramente. 

Pensare, come molti pensano, che siano le tv a volere campionati a 20 squadre per avere più partite, è semplicemente sbagliato. Il mercato e le offerte dimostrano: meglio meno partite ma più appetibili.

Nel 1992 il primo bando conteneva solo 60 partite. Ora si è arrivati a 200 su 380. Il valore, televisivamente parlando, è andato crescendo a dismisura: da 1,5 milioni di sterline a partita fino ad oltre 10 nel bando 2016.

Ma a questo punto si è arrivati al punto di saturazione.

Bisogna capire, in questo senso, che in realtà ogni partita è concorrenziale rispetto ad un’altra: se io trasmetto 1 gara a settimana sto vendendo il campionato, ma se le trasmetto tutte sto vendendo la possibilità per un tifoso di vedere sempre la sua squadra.

Sto, in altre parole, acquistando il tempo dei tifosi, che non è illimitato e che quindi si focalizzerà su alcune partite piuttosto che altre. Facendo diminuire il valore di quelle marginali.

Quello che è accaduto per i posticipi tv in Italia: ascolti molto più alti quando era l’unica gara della domenica ad andare in tv, via via ponderati al valore delle squadre in campo da quando tutta la Serie A viene trasmessa.

Quel che è già pronosticabile è una reazione dei grandi club.

Premier League, le sei big sconfitte sui diritti tv esteri: resta la equa ripartizione

Le 6 grandi sono già andate all’attacco recentemente pur uscendo sconfitte, battendo cassa per avere più soldi.

Ora avranno un tema in più: “le nostre partite valgono e fanno aumentare il valore dei diritti, le vostre invece fanno solo numero e inflazionano il prodotto”.

Ovviamente la Premier League è un benchmark importante per tutto il mondo del calcio e dello sport a livello mondiale.

Cosa significa questo per la nostra serie A?

Sgomberiamo il campo dalla speranza di molti. Il gap televisivo tra la serie A e la Premier league non verrà mai colmato.

I due prodotti vengono valorizzati a due livelli:

  • sul mercato domestico, che è influenzato dagli investimenti pubblicitari e dal numero di abbonati, in maniera indipendente
  • sul mercato internazionale, in maniera concorrenziale e interdipendente

Come noto la Serie A riceve molto meno della Premier dai diritti venduti all’estero e in questo le nostre partite rimarranno sempre meno appetibili perchè in concorrenza con il campionato che in questo momento ha più visibilità, più campioni, più sponsor e quindi più attrattività.

In questo senso la crescita dei diritti della serie A all’estero nel prossimo triennio va letta come un successo.

Gli investitori internazionali oggi guardano prima di tutto alla Premier League, poi al campionato dei due maggiori club europei (quindi la Spagna), poi alla Germania (che ha recentemente annunciato un incremento notevole delle entrate) e infine a noi.

Questo ritardo rimane e lo pagheremo fino in fondo.

Piuttosto, oggi, il calcio è arrivato alla fine di un ciclo. E qui dobbiamo forse scomodare un ragionamento macroeconomico di più ampio respiro.

Lo ha ben detto il prof. Simon Chadwick dell’Università di Salford in un nostro recente dialogo su Twitter. Lo riprendo tale e quale tradotto in Italiano.

“In ogni altra industria globale, negli ultimi decenni abbiamo visto la concentrazione industriale (un piccolo numero di imprese che dominano ampie parti del mercato) diventare la norma. E’ succeso ovunque da dove beviamo il caffè a dove facciamo i nostri acquisti al supermercato. Il calcio non è immune…”.

Cosa questo significhi, in concreto, lo affideremo ad un ulteriore approfondimento sulle prospettive del calcio nazionale e di quello europeo. Anche se forse molti di voi hanno già letto, o intuito, quale sia l’approdo più probabile.

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