L’impianto accusatorio della Procura Federale nei confronti del Chievo per il caso plusvalenze regge solo in parte, perché i consulenti della Procura hanno sbagliato i conti e sovrastimato le operazioni. Sono queste le motivazioni che hanno portato il Tribunale Federale a sanzionare la società veronese con 3 punti di penalizzazione (contro il -15 chiesto dalla Procura), oltre ad inibire il presidente Campedelli per tre mesi.
«Nel merito il deferimento è fondato nei limiti di cui in motivazione», spiega il TFN. «Appare evidente che le operazioni di scambio di calciatori indicate nel deferimento evidenziano che i vertici delle due Società hanno posto in essere una sistematica operazione di mercato, non già un’episodica operazione, legata al valore attribuito intuitu personae al particolare ipotetico talento riscontrabile in uno o più giocatori, volta inevitabilmente ad sopravvalutare i dati di bilancio mediante, appunto, il sistema delle cosiddette plusvalenze».
«L’evidente sopravvalutazione dei calciatori, unitamente all’anomalo sostanziale inutilizzo di gran parte degli stessi, all’assenza di contratti di natura economica stipulata fra i calciatori e le società e soprattutto – spiegano i giudici del Tribunale Federale – l’elevato valore di compravendita, non comportante, tuttavia, alcun esborso economico, ma solo rilevantissimi effetti finanziari soprattutto se rapportato ai prezzi di cessione di altri giocatori professionistici di ben altra indubbia caratura sia dalla parte del Chievo che dalla parte del Cesena, conducono a ritenere raggiunta la prova degli illeciti contestati dalla Procura Federale».
Tuttavia, il Tribunale Federale sottolinea come la Procura abbia fatto male i conti. «Questo Collegio ritiene, tuttavia, non sia possibile aderire ai criteri di quantificazione operati dalla Procura Federale, condividendo sul punto la tesi difensiva dei deferiti scaligeri, secondo la quale difettano uniformi e oggettivi criteri di valutazione dell’effettivo valore del calciatore. Ciò in quanto, come è noto, non vi sono dei parametri certi di riferimento o unanimemente condivisi in ordine all’oggettivo valore dei diritti di cessione di un calciatore in quanto frutto di una libera contrattazione fra le parti, ancorché nel caso di specie apparentemente sovrastimati».

Il cuore dell’accusa di Pecoraro, ovverosia che le operazioni abbiano portato il Chievo a truccare i bilanci per ottenere le licenze nazionali, viene smontato dal TFN. «Non si ritiene raggiunta la prova del fatto che le operazioni oggetto di deferimento siano state decisive ai fini dell’ottenimento della licenza nazionale per la partecipazione ai campionati di Serie A indicati nell’ atto di deferimento», si legge nelle motivazioni. A supporto il TFN parla di «impossibilità di ritenere, in assenza di ulteriori accertamenti, pienamente validi ed oggettivi i criteri utilizzati dalla Procura Federale», oltre che di una fondata contestazione da parte dei consulenti del Chievo riguardo la «sopravvalutazione degli effetti finanziari delle operazioni contestate per effetto del cd. double counting, per il rilevante importo pari a circa 29 milioni di Euro» e del fatto che la Co.Vi.So.C., «pur se a conoscenza del procedimento in questione», non ha voluto «effettuare accertamenti o contestare alcunché alla Società deferita».
La colpevolezza, secondo il TFN, riguarda la mancata «svalutazione del valore dei giocatori al momento in cui ci si rende conto che il valore oggettivo non può essere quello oggetto della precedente contrattazione». Condotta «caratterizzata da estrema superficialità, tale da integrare gli estremi dell’illecito disciplinare, quantomeno sotto il profilo colposo, per non aver posto in essere le dovute prudenziali correzioni ai dati contabili societari, anche in ragione del fatto che la contabilizzazione delle plusvalenze sembra essere un fenomeno alquanto diffuso ed utilizzato da diverse Società calcistiche».
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