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Pallone in rete (Foto Cesare Purini / Insidefoto)

Uno dei principali e ancora irrisolti temi di natura fiscale concernenti l’attività dei procuratori sportivi è senz’ombra di dubbio rappresentato dal trattamento a cui assoggettare le somme di denaro pagate dalle società sportive ai procuratori nell’ambito del trasferimento di un calciatore.

In particolare, la querelle, nata a seguito di alcune verifiche fiscali dell’Agenzia delle Entrate e della Guardia di Finanza, riguarda l’inquadramento giuridico di tali importi: tali somme di denaro devono essere considerate come costi deducibili ed inerenti l’attività della società sportiva che li ha sostenuti oppure devono essere considerati redditi di lavoro dipendente (alla stregua di veri e propri fringe benefits) e imponibili in capo ai calciatori assistiti dal procuratore che ha ricevuto l’importo dalla società sportiva?

Secondo l’Amministrazione finanziaria, queste somme di denaro devono essere considerate quali fringe benefits imponibili in capo ai calciatori e, pertanto, in sede di accertamento viene contestato il diverso trattamento fiscale (quali costi deducibili ai fini IRES) adottato dalla società sportiva.

Le conseguenze in termini economici non sono di poco conto e coinvolgono tutti e tre i soggetti: la società, il procuratore sportivo e il calciatore.

In dettaglio, secondo la ricostruzione dell’Agenzia delle Entrate:

  • la società sportiva avrebbe omesso di applicare la ritenuta IRPEF all’atto dell’erogazione del fringe benefit e, nella maggior parte dei casi, avrebbe illegittimamente detratto l’IVA addebitata in fattura dal procuratore;
  • il calciatore avrebbe omesso di indicare l’importo erogato dalla società quale reddito imponibile nella sua dichiarazione;
  • il procuratore avrebbe emesso una fattura errata indicando quale committente la società e non il calciatore.

Ognuna di queste (presunte) violazioni comporta l’applicazione di considerevoli sanzioni amministrative.

Le contestazioni dell’Agenzia delle Entrate si basano sull’assunto che la prestazione del procuratore venga svolta “nell’esclusivo interesse” dello sportivo in ragione del  rapporto con il professionista sportivo, preesistente rispetto al successivo rapporto instaurato tra il procuratore e la società.

Gli accertamenti hanno dato luogo a diversi contenziosi dinanzi alle Commissioni tributarie italiane. In alcuni casi, le decisioni dei giudiziali sono state favorevoli ai calciatori e alle società sportive, ma non si è ancora formato un orientamento prevalente.

La questione, quindi, è ancora di estrema attualità, soprattutto alla luce di due ordini di considerazioni: una economica e una giuridica.

La prima considerazione, di tipo economico, potrà apparire forse banale, ma è una diretta conseguenza del fatto che in taluni casi l’acquisto delle prestazioni di uno sportivo si riverbera immediatamente sui ricavi di una società sportiva indipendentemente dai risultati sportivi della squadra e dal contributo del giocatore ai medesimi.

Si pensi al caso di Cristiano Ronaldo, con il solo acquisto del calciatore che ha fatto impennare le vendite del merchandising della Juventus e il valore del club in sede di negoziazione o rinegoziazione dei contratti di sponsorizzazione.

Tutto questo prima ancora che il calciatore portoghese giocasse un solo minuto con la sua nuova squadra! E, con ogni probabilità, anche nel caso in cui il giocatore non dovesse giocare per alcuni mesi (i tifosi della Juventus faranno comprensibili scongiuri…), il beneficio economico per il club rimarrebbe del tutto immutato.

In simili casi è pressoché impossibile sostenere che i costi accessori relativi al trasferimento (tra cui i compensi ai procuratori) siano di utilità solo per il calciatore.

E anzi, considerando che alcuni calciatori, come si suol dire, “si vendono da soli” e possono di fatto decidere la squadra con cui giocare, sono le società sportive a ricavare la maggiore utilità derivante dall’acquisto e, quindi, dalle prestazioni del procuratore.

E d’altro canto, e venendo al secondo ordine di considerazioni, il Regolamento Procuratori  Sportivi, emanato dalla FIGC il 1° aprile 2015 e attualmente in vigore prevede che il procuratore sia colui che “rappresenta o assiste una Società Sportiva e/o un Calciatore” per la conclusione di un contratto di prestazioni sportive.

Analogamente, il recentissimo “Regolamento CONI degli Agenti sportivi” – approvato con deliberazione n. 1596 del Consiglio Nazionale CONI del 10 luglio 2018 e destinato a soppiantare il relativo regolamento della FIGC nonché i regolamenti similari delle federazioni affiliate a far data dal 1° gennaio 2019 – prevede che l’agente sportivo sia “il soggetto che (…) mette in relazione due o più parti (…)” in forza di un “contratto di mandato (…)”  stipulato e sottoscritto con “una società e/o un atleta, o con entrambi (…)”.

Il procuratore, quindi, non è solo l’agente del calciatore, ma può anche essere l’intermediario che assiste entrambe le controparti (calciatore e società sportiva).

In tal caso, è del tutto evidente che l’interesse alla conclusione del trasferimento non sia esclusivamente del calciatore, ma anche del club.

E’ evidente che tanto il Regolamento FIGC quanto il nuovo Regolamento Agenti del CONI abbiano recepito la tendenza del settore e, per certi versi, la trasformazione in atto della figura del procuratore sportivo che, da mero rappresentante del calciatore, diventa il trait d’union tra calciatore e società ed è spesso il vero e proprio artefice (con benefici per entrambe le parti) del trasferimento.

In conclusione, sia per le situazioni passate, ma anche al fine di una definitiva regolamentazione fiscale del fenomeno descritto occorrerebbe, anche di concerto con l’Amministrazione finanziaria, riflettere sui mutamenti economici e giuridici del rapporto a tre società, sportiva e procuratore.

Articolo a cura di Gianmarco Tortora, managing associate di BonelliErede

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