È indiscrezione degli ultimi giorni quella per cui Mauro Icardi avrebbe recentemente contattato diversi legali giuslavoristi per capire se sia possibile provare a risolvere il contratto di lavoro con l’Inter per mobbing, così da essere libero di poter scegliere la sua prossima destinazione. Il giocatore, infatti, potrebbe chiedere al collegio arbitrale della Serie A la risoluzione del suo contratto con i nerazzurri, valido fino al 30 giugno 2021. Se il collegio dovesse accogliere il ricorso del giocatore, il numero 9 dell’Inter potrebbe lasciare la squadra a costo zero e cominciare il prossimo campionato con una nuova squadra.
Il mobbing è inteso comunemente come una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, sistematica e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del lavoratore nell’ambiente di lavoro, che si risolve in sistematici e reiterati comportamenti ostili che finiscono per assumere forme di prevaricazione o di persecuzione psicologica, da cui può conseguire la mortificazione morale e l’emarginazione del dipendente, con effetto lesivo del suo equilibrio fisio-psichico e del complesso della sua personalità.
Il rapporto di lavoro sportivo è composto da diritti ed obblighi tra la società sportiva e l’atleta ed i tratti distintivi di tale rapporto sono specificati dall’art. 2094 del Codice civile in stretta combinazione con specifiche prescrizioni della legge n. 91 del 1981 (sul professionismo sportivo). È principio fondamentale che la società sportiva, datrice di lavoro, si impegni ad elevare le condizioni psico-fisiche e tecniche del suo atleta, mettendogli a disposizione le attrezzature idonee alla preparazione atletica, il tutto in un ambiente adeguato alla sua dignità professionale di “lavoratore sportivo”.
A partire da qualche anno, il fenomeno del mobbing si sta diffondendo anche nel mondo del calcio e possono essere citarsi numerosi casi, riguardanti calciatori professionisti, che sarebbero riconducibili nell’alveo del fenomeno in esame.
Icardi via dall’Inter per mobbing? I precedenti
Si pensi a Lorenzo Mattu, giocatore dell’AS Latina, che nel 2003 lamentò, dinanzi al collegio arbitrale di serie C, il “mancato rispetto della dignità del lavoratore” da parte della società di appartenenza.
Ma anche a Rodrigo Taddei, che, nel 2004 – periodo in forza all’AC Siena – dopo essere stato messo fuori rosa e mai convocato durante la stagione calcistica per problemi di rinnovo contrattuale decise di presentare un ricorso dinanzi al collegio arbitrale della FIGC chiedendo la risoluzione del contratto nonché un rilevante indennizzo economico.
Ancora più noto il caso di Goran Pandev, che nel 2009 si era rifiutato di rinnovare il contratto con la S.S. Lazio e si vide messo ai margini della rosa insieme al compagno Ledesma.
In quest’ultimo caso, nonostante la sua idonea condizione fisica, l’attaccante macedone venne costantemente escluso dall’attività sportiva, cosa che spinse il collegio arbitrale della Lega calcio a risolvere il contratto fra le due parti obbligando la S.S. Lazio ad un risarcimento danni di 160 mila euro. La sentenza sottolineava la violazione da parte della S.S. Lazio degli articoli 7.1 e 7.2 dell’accordo collettivo AIC/LNPA, riguardanti gli allenamenti e la preparazione pre-campionato.
È agevole constatare come condotte persecutorie come quelle citate solitamente scaturiscano quasi sempre dal rifiuto del calciatore di rinnovare il proprio contratto con il club o di farlo alle condizioni di quest’ultimo.
Ovviamente il mancato rinnovo contrattuale da parte del calciatore (professionista) rappresenta un danno economico per la società datrice di lavoro, perché perde l’atleta “a parametro zero”, ma è altrettanto chiaro che per il nostro ordinamento, ispirato a principi di libertà e di dignità del prestatore di lavoro, una valutazione di natura economica, seppur legittima, non può prevalere sulla libertà della persona umana.
Nel calcio accade che tale autonomia contrattuale sia molto spesso sacrificata a vantaggio degli interessi economici della società, ed i casi citati sono solo alcuni dei tanti in cui si è assistito a fatti di calciatori esclusi dalla prima squadra perché ritenuti colpevoli di non aver voluto rinnovare il proprio contratto o di non aver accettato le condizioni offerte dalla società di appartenenza.
Icardi via dall’Inter per mobbing? Le differenze
Il caso Icardi sembra in teoria inserirsi nella scia di tanti casi simili, ma con evidenti differenze legate al caso singolo ed anche allo sviluppo della negoziazione dell’attaccante avvenuta negli ultimi mesi con il club.
Viene da chiedersi se – guardando ai fatti avvenuti nel 2019 – il collegio arbitrale possa riconoscere che nelle vicende che hanno riguardato l’attaccante — la rimozione come capitano, la mancata convocazione contro la S.S. Lazio il 31 marzo 2019, l’isolamento nello spogliatoio, il braccio di ferro che ha portato al mancato rinnovo del contratto — la società nerazzurra non abbia agito del tutto correttamente. Tecnicamente, Icardi potrebbe tentare complessivamente di sostenere che l’Inter senza giustificazione lo abbia trattato in maniera diversa rispetto ai compagni.
D’altro canto, la società nerazzurra potrebbe difendersi e resistere in giudizio con discrete chance di successo, deducendo il rifiuto reiterato del giocatore di scendere in campo per mesi, così configurandosi varie ipotesi di assenza ingiustificata. Infine, in capo all’atleta dovrebbe essere riscontrato un danno biologico e/o esistenziale, cioè, in parole povere, dovrebbero essere clinicamente accertate delle patologie psico-fisiche.
A tal proposito, la giurisprudenza che si è interessata a casi di mobbing sportivo ha precisato che affinché si tratti di danno da mobbing dovrà essere accertata, dal punto di vista medico-legale, una vera lesione sul piano psichico o psicosomatico in capo alla vittima, quindi non un “semplice” turbamento.
Comunque vada o qualunque piega prenda il caso Icardi, vale forse la pena di ricordare (e stressare) che il fenomeno del mobbing sportivo ancora oggi resta molto più frequente in ambito dilettantistico che professionistico, perché la normativa vigente tutela solo i “professionisti” dello sport, cosicché coloro che sulla carta sono atleti dilettanti, ma in realtà svolgono un‘attività sportiva di fatto pienamente paragonabile al professionismo sportivo, sono tristemente sprovvisti di tutela, evidenziando una lacuna che l’ordinamento sportivo sarà chiamato quanto prima a colmare.
Articolo a cura dell’avvocato Matteo Di Francesco, responsabile dipartimento di diritto del lavoro – Jenny.Avvocati Studio Legale Associato
Ma se è rimasto fuori perchè “infortunato” come diceva lui…
Hai presente se Icardi e Wanda dovessero far leva su questa causa legale di risoluzione del contratto e venga addirittura accolta, e il giorno seguente il buon Mauro Icardi viene presentato a Torino?!
Preparo i pop-corn perchè si potrebbe prospettare un estate interessante!