«Grazie, Serie A». Potrebbe essere questo lo spot per una pubblicità in cui Premier e Liga, i due massimi campionati inglese e spagnolo, ringrazino quella italiana. Ed il Decreto Dignità, approvato lo scorso anno e dallo scorso 15 luglio effettivamente in vigore.
Il tutto perché sono uscite direttamente dall’ottica del calcio italiano tutte le partnership legate ai casinò online e alle scommesse sportive, a causa di quel divieto totale di pubblicità nel gioco comprendente vincite in denaro. Il tutto a giovamento del calcio spagnolo in primis, e di quello inglese. Con una Serie A orfana di 35 milioni di euro, un primo (e preoccupante) buco nero da coprire in altri modi. Quali poi li spiegherà chi di dovere.
Facendo due conti, oggi, la Liga Spagnola, o Santander, che dir si voglia, ha diciannove squadre su venti che, in prima divisione, hanno almeno una agenzia di scommesse come sponsor. Una tradizione quasi per il calcio iberico, risalente al 2007, quando il Real Madrid, da pioniere, ufficializzò l’accordo con Bwin. Un connubio di successo che, dodici anni dopo, ha del clamoroso: oggi in Spagna solo la Real Sociedad non ha uno sponsor di bookmaker ed in questo caso c’entra il cuore.
Infatti il club, lo scorso anno, nel mese di dicembre, mise la questione ai voti e l’86% dei tifosi votò no, costringendo Aperribay, numero uno del club, a non perseguire la strada dello sponsor di betting: «Curiamo i messaggi che trasferiamo alla nostra comunità», dissero dal club. Nella Liga, senza questa eccezione, ci sarebbe stato il tutto esaurito. Inoltre, sette squadre, tra cui Siviglia e Valencia, hanno una società di bookmaker come main sponsor.
Nel Regno Unito invece la Premier League continua a guidare in testa ai massimi campionati europei per soldi, investimenti, sponsor, diritti tv e gran parte di questi introiti proviene dalle numerose case di betting e casinò online. Diciannove squadre su venti, come in Spagna, hanno sponsorizzazioni da almeno un bookmaker. Il Brighton & Hove Albion è l’unica squadra senza sponsorizzazioni di betting, mentre club come Leicester, Newcastle o Arsenal hanno tre o quattro bookmaker tra gli sponsor.
Molti investitori, giocoforza, si sono fiondati sui due mercati competitori dell’Italia, smettendo di investire, date le normative, nel Paese, a cominciare da questa stagione, quella del grande esodo. Un esempio chiaro, in questo senso, è quello della Roma, che ha dovuto pagare 15 milioni per liberarsi dallo sponsor di Betway.
«Le risorse, fino a ieri presenti nel nostro campionato, hanno preso quindi la direzione di altri paesi, laddove scommesse e gioco online operano in piena libertà. Una migrazione di fondi giustificata dalla situazione restrittiva a livello pubblicitario imposta dal Decreto Dignità», commentano ai nostri microfoni gli analisti di Gaming Report.
I budget un tempo utilizzati in Italia e che andavano a finanziare lo sport in generale o i singoli club ora finiscono in altri sport ed altri club. Ma in altri Paesi. In una Serie A che ha già perso 35 milioni fin da subito, potrebbe crearsi un vuoto pari a 150 milioni di euro, secondo le stime della UPA. Una vera e propria follia davanti ad uno dei settori, storicamente, più redditizi nel nostro Paese.
Cara redazione di Calcio e Finanza,
non vi devo ricordare mica io che il gioco d’azzardo è una pratica ignominiosa che manda in rovina migliaia e migliaia di uomini e famiglie.
Il governo ha finalmente attuato un provvedimento che cerca perlomeno di frenare questo business vergognoso e voi che fate? Scrivete un articolo in suo sfavore?
Fossi in voi riesaminerei la questione.
In attesa di un vostro riscontro,
Giacomo.
Leggo con piacere Calcio e Finanza, tuttavia in questo articolo (a firma generica Redazione) debbo notare troppa enfasi nella sponsorizzazione del gioco d’azzardo.
Una volta il tabacco entrava nelle nostre case grazie sopratutto alla F1, non mi pare che le scuderie siano scomparse per il venir meno di quegli introiti.
Qualità del calcio e soldi non necessariamente vanno a braccetto.
Forse però, in questo articolo non è in discussione la riduzione degli introiti delle squadre di calcio, bensì di quello delle agenzie di scommesse.
Cara Redazione,
Concordo in pieno con quanto scritto da Giacomo.
Se solo conosceste una persona, magari un ragazzo che si affaccia alla vita, distrutta dalla ludopatia credo che riconsiderereste le vostre posizioni.
Tempo fa anche le pubblicita’ delle sigarette erano legali e abbondanti nel mondo dello sport. Poi la societa’ civile ha deciso di essere un po’ poi’ civile e la politica ha adeguato le norme. Non mi sembra che (ad esempio) la Ferrari sia fallita per questo motivo.
Quindi, se volete fare i giornalisti e non i ‘pennivendoli’ (citazione), dopo aver sentito la legittima opinione delle societa’ di betting e dei casino online, andate a fare visita ad un centro di recupero per ludopatici. E riportate anche la loro opinione sulla questione.
Grazie
Io sono d’accordo con l’articolo.
Ma la tendenza oggi è quella del politically correct.
Invece di investire sull’educazione, sulla cultura e sulla cultura della responsabilità personale, che anzi vengono sempre più degradate e squalificate, si fanno i divieti.
E perché non vietare la pubblicità del vino allora, visto che ci sono gli alcolizzati?
E perché non delle automobili, visti gli incidenti stradali causati da imprudenza?
La gente viene trattata come bambini o come scimmie e in effetti è stata ridotta progressivamente così.
E pare anche contenta.
Aldous Huxley non avrebbe forse immaginato che il suo “brave new world” si avverasse così in fretta.