Nell’articolato scenario del sistema di licenze UEFA, l’introduzione, nel 2010, dei principi del “fair play finanziario” ha posto in essere la più rilevante riforma nella storia recente dei Club. Detto sistema venne ideato dalla UEFA all’epoca capitanata da Michel Platini, con l’obiettivo di garantire alle società di calcio sostenibilità e continuità nel medio-lungo periodo, e ciò in quanto molti Club versavano in stato di deficit, in molti casi di entità “rilevanti”. Fatte le opportune riforme nel 2012, nel 2015 e nel 2018, con l’istituzione del fair play finanziario vi è stata, quindi, una decisa inversione di tendenza, tant’è che, già dal 2017, i risultati finanziari complessivi dei Club erano diventati positivi. Ad oggi, tuttavia, detto sistema subisce quotidianamente delle critiche e ciò non tanto per la ratio che tuttora lo permea, sempre condivisibile da tutti, bensì a causa dei diversi adattamenti giurisprudenziali ed interpretativi di natura restrittiva, che rischiano di averne stravolto la ratio stessa.
Ma che cos’è il fair play finanziario?
I punti essenziali, in sostanza, sono costituiti dal pareggio di bilancio (break-even), dal deposito del bilancio relativo all’ultimo anno precedente la domanda di rilascio della licenza, controllato da parte di una società di revisione contabile, dall’assenza di debiti in merito a trasferimenti di calciatori scaduti, dalla continuità nel pagamento dei salari ai dipendenti con regolare versamento di relative ritenute e contributi nonché dalla diffusione di informazioni economico-finanziarie di previsione. Il tutto incoraggiando i Club a contare solo sui propri profitti, ad investire a lungo termine sul settore giovanile e sulle infrastrutture assicurando nel contempo la regolarità del pagamento dei propri debiti.
Tra tutti questi criteri, tuttavia, quello maggiormente in evidenza risulta sempre e comunque il c.d. pareggio di bilancio, atteso che si va a verificare la differenza tra ricavi rilevanti (relevant income) e costi rilevanti (relevant expenses), rilasciando la licenza solo nel caso la UEFA ritenga che il Club abbia raggiunto detto pareggio risultante da una serie di parametri e indicatori, tra cui la sussistenza della continuità aziendale, il patrimonio netto positivo, il risultato di pareggio, la sostenibilità del debito e l’equilibrio nella bilancia dei trasferimenti dei calciatori. Il raggiungimento del pareggio di bilancio si considera ugualmente adempiuto pur in presenza di una perdita massima aggregata che non superi, per ciascun periodo di rilevazione triennale, la soglia di 5 milioni di euro, tollerando una perdita superiore, fino ad un massimo di 30 milioni di euro, se la perdita in eccesso alla predetta soglia venga garantita da contributi di capitale degli azionisti e/o contributi incondizionati (vale a dire senza obblighi di restituzione o scambio).
A leggere quanto sopra, quindi, parrebbe tutto di facile interpretazione e attuazione, ma tra le righe non si vedono le lacune che permeano detti criteri, quali ad esempio la pratica (elusiva) dei “finti prestiti” per occultare l’acquisto di giocatori, così come la mancanza di apposita regolamentazione per i trasferimenti di calciatori tra Club riconducibili alla stessa “famiglia”.
L’ultima riforma del 2018, pertanto, ha tentato di porre rimedio a dette lacune, prevedendo emendamenti in tema di trasparenza e di indicatori del pareggio di bilancio. E’ stata introdotta la norma 47-bis che obbliga i Club a pubblicare l’ultimo bilancio revisionato certificato dalla FIGC nel processo di rilascio della licenza, nonché l’ammontare pagato, nell’ultimo periodo di rendicontazione finanziaria, agli agenti e/o intermediari.
I bilanci dei Club dovranno indicare gli incentivi/bonus/benefit contrattualmente concordati con dipendenti e calciatori, così come dovranno riportare contabilizzati i ricavi provenienti dalla vendita dei biglietti, dalle sponsorizzazioni, dai diritti televisivi e da qualsiasi introito commerciale, così come dovranno indicare le donazioni e i contributi ricevuti. Il tutto, ovviamente, quale correttivo alle lacune di trasparenza emerse nel passato.
Sempre in ottica di maggiore trasparenza la UEFA ha anche aggiunto nuovi oneri informativi relativi alle operazioni con parti correlate, con i club obbligati a indicare le modalità con cui hanno determinato il valore dei trasferimenti di calciatori e a iscrivere a bilancio il ricavo o costo da cessione o acquisto di un calciatore, distinguendo tra trasferimenti a titolo definitivo e trasferimenti a titolo temporaneo e stabilendo per ogni tipo di operazione gli aggiustamenti idonei a condurre all’iscrizione in bilancio dei valori di mercato.
In detto sistema, entrano così le c.d. plusvalenze in quanto sono fondamentali concorrendo al consolidamento della stabilità economica di una società di calcio: si tratta di ricavi che, insieme agli altri succitati ricavi, permettono a un club non solo di sostenersi dal punto di vista finanziario, ma anche di investire. L’unico neo delle plusvalenze è tuttavia dato dal fatto che non sempre quel valore iscritto a bilancio come plusvalenza corrisponde effettivamente ad un introito di cassa con il quale il Club possa investire denaro. Si pensi, infatti, al caso di scambi di calciatori che talvolta appaiono ai più come mere operazioni volte a sistemare i bilanci dei Club che reale trasferimento di giocatori “voluti”.
Ma che cos’è una plusvalenza? Per calcolare la plusvalenza bisognerà conoscere il costo del cartellino del giocatore, la somma incassata dal trasferimento e la durata del contratto. Ogni anno, la società che ha acquistato il calciatore avrà a bilancio un ammortamento del cartellino del calciatore stesso. Se però la società che ha acquistato un calciatore vuole cederlo già dal secondo anno allo stesso prezzo di acquisto originario, si vedrà come detta società otterrà quindi una plusvalenza sulla cessione data dalla differenza del valore del primo acquisto meno l’ammortamento e la differenza del prezzo di cessione, oltre che dal risparmio dell’ingaggio lordo.
A parere di chi scrive, comunque, per quanto detta operazione appaia semplice matematica, darà sempre origine a critiche e ciò in quanto sempre di uomini si parla e per quanto viviamo un mondo di business, per quanto il calcio sia molto meno romantico, la plusvalenza rimane pur sempre l’assegnazione di un valore ad un talento operazione sicuramente non facile e immediata.
Articolo a cura di Federica Gramatica, responsabile della divisione sportiva dello studio Martinez-Novebaci