David Stern (Photo by Mike Stobe/Getty Images)

L’ex ‘commissioner’ della Nba, David Stern, l’uomo che ha fatto conoscere in tutto il mondo la lega del basket professionistico americano, è morto nella serata di ieri all’età di 77 anni. Era in condizioni di salute critiche dal 12 dicembre scorso, quando era stato colpito da emorragia cerebrale mentre stava pranzando a New York.

A darne l’annuncio è stato l’attuale ‘commissioner’, Adam Silver: “Per tanti anni – ha detto – ho avuto la possibilità di vederlo in azione, ed era diventato uno dei miei amici migliori. David ha cominciato nel 1984 e per trenta anni ha in modo che la Nba si sviluppasse a livello globale. Ha rilanciato media e marketing, firmato contratti importanti e sostenuto programmi di sviluppo sociale che hanno portato l’Nba ad essere conosciuta in tutto il mondo. Era un vero leader del business e il nostro basket gli deve molto”.

Collaboratore dell’Nba dal 1978 e commissioner dal primo febbraio 1984 al primo febbraio 2014, ha ereditato una lega con scarso interesse e problemi di diversa natura (come la droga tra i giocatori) trasformandola in un campionato globale.

L’elenco dei successi è lungo: passaggio da 23 a 30 franchigie, aumento di 30 volte nei ricavi della lega, firma del primo contratto televisivo per una lega sportiva professionistica passando poi dai 10 milioni annui del 1984 a 2,6 miliardi nel 2014, il passaggio dalle gare di playoff in differita (ultima volta nel 1986) alle gare trasmesse live in 215 paesi, la creazione del salary cap con stipendi medi passati da 330mila dollari nel 1984 a 7,7 milioni oggi, nel l’apertura internazionale con uffici all’estero (oltre ad essere stata la prima lega statunitense a giocare una gara ufficiale fuori dagli Usa), il lancio della WNBA (la lega femminile) e della G-League (la lega di sviluppo), l’introduzione della draft lottery, l’attenzione ai media anche digitali con il lancio di Nba Tv e League Pass, il ruolo fondamentale nella nascita del Dream Team, ma la lista può proseguire.

Non mancano le ombre, su tutte le polemiche per aver bloccato lo scambio che avrebbe portato Chris Paul ai Lakers nel 2011, oltre ai lockout del 1998 e 2011 (con stagioni di 50 e 66 partite di stagione regolare rispettivamente) e alla “sparizione” dei Seattle Supersonics, tanto che i fischi ad ogni draft non sono mancati. Ma la lista dei meriti resta decisamente più lunga.

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