Serie B salary cap
(Photo by Gabriele Maltinti/Getty Images)

Il patron dell’Entella, Antonio Gozzi, ha rilasciato un’intervista alla Gazzetta dello Sport a proposito dell’emergenza Coronavirus e di come questa crisi andrà a impattare sul mondo del pallone, del quale il suo club occupa un posto in Serie B.

«Questa crisi picchia su un soggetto già malato. Il calcio è la terza industria del Paese, ma è sistematicamente in perdita, non esiste. Alla lunga si fallisce», è l’allarme di Gozzi.

«Soprattutto dalla B in giù. O ci diamo una regolata o è dura. Credo che l’ultima assemblea di B sia stata una pietra miliare: è necessario rendere sostenibile questa attività, altrimenti molti imprenditori seri non se ne occuperanno più e si darà campo agli avventurieri. Con gli operai in cassa integrazione non potremo più mettere nostre risorse. Bisogna avere costi uguali ai ricavi», ha sottolineato.

A proposito di quanto perde le B, Gozzi ha spiegato: «La stagione scorsa più di 90 milioni. Non è possibile. Chi ce li mette tutti quei soldi? E questo stop costa quasi 3 milioni di euro in media a club».

Sull’utilità dell’ultimo Decreto per il sistema calcio: «Intanto diamo merito a Gravina: se non si paga la fiscalità fino a giugno è una sua vittoria. Le misure sulla liquidità sono concettualmente giuste, ma la realizzazione deve essere rapida. E il calcio potrà giovarne, ma il tema non è questo».

Tra i temi cruciali anche quello della sostenibilità: «Serve il salary cap per contenere i costi. Se poi uno vuole fare il pazzo, lo fa con i suoi soldi e lascia agli altri la mutualità. Ora i tempi sono maturi per farcela. Il gioco è finito, siamo in un altro mondo».

Sugli stipendi spiega: «Se non si gioca, non si può pretendere il pagamento della prestazione. Lo dice la legge. Se sarà possibile riprendere in condizione di sicurezza degli atleti, ci sarà una discussione con i calciatori per il periodo in cui torneranno ad allenarsi».

Chiusura dedicata al professionismo, se sia meglio avere grandi piazze oppure grandi proprietà: «Ovvio, entrambe. B e C devono essere veramente il campionato degli italiani, il calcio di provincia è importante, coerente con la storia del Paese. Il Cittadella è un modello da seguire: fa calcio di vertice spendendo meno di tutti».

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