L'Inter alza la Champions League 2010 (foto MARCO DE PONTI/Ufficio Stampa Inter)

Un maggio da consegnare alla Storia del calcio, quella con la esse maiuscola. Dieci anni fa, l’Inter di Josè Mourinho saliva sul tetto d’Europa, diventando la prima squadra italiana a conquistare il Triplete: nel giro di 17 giorni, arrivarono Coppa Italia, scudetto e infine, il 22 maggio, la tanta agognata Champions League che mancava da 45 anni. Da un Moratti ad un altro Moratti, dal padre Angelo al figlio Massimo, l’epopea nerazzurra visse nel 2010 un mese indimenticabile, al termine di una stagione finora inimitabile per qualsiasi altro club nostrano.

Difesa di ferro, carattere anche più duro, una squadra forgiata nell’anima da un Josè Mourinho più battagliero che mai. D’altronde lui non era un “pirla”, e in quel 2009/10 lo ha voluto dimostrare, non solo tenendo la barca dritta quando, più volte, ha rischiato di affondare, ma anche esaltandola nei momenti decisivi.

Basti pensare alla trasferta di Kiev contro la Dinamo, con Milito e Sneijder capaci di ribaltare il gol di Shevchenko che sembrava condannare l’Inter all’eliminazione già nei gironi di Champions. Ma anche il derby vinto a febbraio chiudendo in 9 contro un Milan in rimonta, così come la capacità di rialzarsi dopo il sorpasso in classifica nel testa a testa con la Roma, chiudendo il campionato con cinque vittorie di fila.

Merito di una squadra magari non splendente come negli anni precedenti, ma coriacea come poche altre. Il simbolo non può che essere Diego Milito, protagonista con tutti i gol nelle ultime tre gare decisive: l’1-0 contro la Roma nella finale di Coppa Italia, l’1-0 contro il Siena in campionato e il 2-0 contro il Bayern Monaco nella finale di Champions al Bernabeu.

Ma forse ancor più simbolo di quella Inter è stato Samuel Eto’o, arrivato come pedina di scambio nell’affare Ibrahimovic capace di trasformarsi da punta fin a terzino, nella battaglia del Camp Nou in semifinale contro il Barcellona, pur di trascinare i suoi compagni fino in fondo. Ci sono anche le parate di Julio Cesar, le sgroppate di capitan Zanetti e Maicon, la difesa arcigna di Samuel e Lucio, il fosforo di Cambiasso e Sneijder, il sacrificio anche di Pandev, fondamentale a sua volta quanto Mourinho decise di svoltare passando al 4-2-3-1.

C’è stato spazio, spesso, anche per l’esuberanza di Balotelli, seppur la sua annata sia ricordata più per il lancio della maglietta dopo la gara col Barça a San Siro che per gol e assist. Ma all’alba del 23 maggio, in campo al Meazza, c’era anche lui a festeggiare quella Champions che tutto il popolo nerazzurro aspettava da troppo tempo. Mancava solo Mourinho, ‘scappato’ nel frattempo su un auto del Real Madrid senza tornare con la squadra ad esultare. A distanza di dieci anni, però, ciò che resta è “solo” quella coppa che ancora oggi è il trofeo più splendente della bacheca dell’Inter.

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