Shevchenko intervista DAZN
Andriy Shevchenko con la maglia del Milan - Foto FLP/Insidefoto

Shevchenko intervista DAZN. A distanza di anni dal suo addio al Milan, Andriy Shevchenko rappresenta uno degli attaccanti più forti della storia, in grado di segnare decine di gol e di permettere alla formazione rossonera di vincere tutto in Italia e nel mondo. Anzi, in considerazione delle ultime stagioni “di magra” è praticamente impossibile non provare un po’ di nostalgia per il talento dell’ucraino.

L’ex calciatore si è così raccontato ai microfoni di DAZN  e ha raccontato alcuni aspetti di sè, relativi al campo e non solo. Impossibile non pensare a VALERIJ LOBANOVS’KYJ, suo allenatore già ai tempi della Dinamo Kiev, la squadra da cui lo ha acquistato il Mian. “Praticamente tutta la mia storia calcistica è partita quando ho cominciato a lavorare con
lui. Mi ha dato tanto e mi ha cambiato tanto. Nel periodo invernale durante il ritiro
facevamo 3 allenamenti al giorno. Ci svegliavamo alle 6:30, alle 7:00 c’era il primo
allenamento, o palestra o corsa. Poi facevamo una colazione veloce e cominciava il secondo allenamento. Successivamente ci facevamo una doccia, si mangiava qualcosa e via con il terzo allenamento. Kalaze quando è arrivato ha fatto una fatica tremenda e i primi due anni sono stati difficili per lui”.

Il salto nel calcio che conta è ovviamente arrivato al momento del suo passaggio in rossonero, datato estate 1999, quando il club era campione d’Italia dopo avere conquistato lo scudetto con Alberto Zaccheroni in panchina. Da allora è stato un successo crescente: “Ero felice. È stato un momento speciale. È stato Ibrahim Ba a dirmi che se volevo il 7 potevo averlo. Due giorni dopo ricordo anche che mi chiamò un amico d’infanzia per dirmi che 7 in ebraico si dice “Sheva” (non ci potevo credere). Mi ha detto che mi avrebbe portato fortuna”.

Il legame con i colori che gli hanno permesso la consacrazione in campo è fortissimo, anzi è stato lui stesso a confessare recentemente di voler diventare un giorno tecnico della squadra milanista. “La notte di Champions League contro la Juventus è il ricordo più bello. Era la prima finale che giocavo ed è stata la partita più importante della mia vita. Non dimenticherò mai quei 12/15 secondi in cui da metà campo sono andato verso il pallone per tirare l’ultimo rigore. In quel momento, in quei 12 secondi, ripensi a tutta la tua vita. Da quando da bambino avevi un sogno fino al momento in cui capisci che quel sogno si sta realizzando in quell’esatto momento. Nella testa hai già pensato a come devi tirare. Io ho guardato l’arbitro, la palla e Buffon. Ho sento il fischio dell’arbitro e ho tirato il pallone come avevo pensato e voluto”.

Parte integrante di quel periodo è stato certamente il presidente Silvio Berlusconi con cui era riuscito a stringere anche un rapporto importante extra calcio (si era speso personalmente per aiutare il papà del giocatore in un importante intervento chirurgico): ”
Un grande presidente. Una persona che ha reso incredibili 25 anni della storia del Milan.
Non so se succederà ancora di portare il Milan ad un livello pari alle più grandi squadre del
mondo”.

Infine non poteva mancare un accenno a Carlo Ancelotti, che ha avuto un ruolo determinante in quel Milan così vincente: “Un allenatore e un amico. Carlo è una persona speciale. Averlo come allenatore è stata una fortuna per noi, per il Milan e anche per lo stesso Carlo. Lui sapeva gestire benissimo il rapporto con i calciatori. Creava un rapporto basato sulla fiducia e sulla condivisione. Non parlava molto ma il giusto. Ma quando parlava tu lo ascoltavi e capivi il perché delle sue scelte” – ha concluso.

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