Il Lipsia in semifinale di Champions League riaccende la luce sul “Modello Red Bull”. Uno dei più riusciti esperimenti di marketing sportivo a livello internazionale, che sta vivendo un’estate da urlo tra MotoGp e Formula 1. Un sistema di squadre in provetta, che si è attirato tante critiche nel corso degli anni, da addetti ai lavori ma soprattutto dai tifosi.
Un esempio di gestione sportiva che guarda al futuro, soprattutto in campo, che va anche al di là della ricchezza del proprietario: quella sicuramente aiuta (d’altronde Dietrich Mateschitz è il 57° uomo più ricco al mondo, con un patrimonio di 16 miliardi di dollari secondo Forbes) ma non è il fattore decisivo.
Lo sbarco di Red Bull nel mondo del calcio è datato 2005, ma forse solo ora, con il Lipsia che ha centrato la sua prima semifinale europea della storia, sta raggiungendo il suo obiettivo: essere al top pure nel pallone.
Il 2005, dicevamo, è l’anno in cui l’azienda dell’azienda delle lattine entra, tra le polemiche, nel calcio, anche se il marketing sportivo è stato da sempre una delle principali attenzioni della società austriaca (concentrata però più che altro sugli sport estremi).
Un’entrata a piedi uniti, seppur in un mercato “secondario” a livello europeo come il campionato austriaco: l’azienda di Mateschitz compra l’Austria Salzburg, cambia tutto quello che si può cambiare (cancellando anche la storia).
Operazione di marketing, un totale rebranding per una novità che coincide anche con la Formula 1, dove Red Bull entra sempre nello stesso anno acquistando quello che rimaneva della scuderia Jaguar.
Modello Red Bull Lipsia, l’avventura inizia nel 2009
Se il 2005 segna quindi il doppio ingresso tra Formula 1 e calcio (al Salisburgo poi seguiranno le esperienze in Brasile, Ghana e Usa), il 2009 potrebbe essere ricordato come l’anno della svolta:
- da un lato infatti Sebastian Vettel termina secondo nella classifica mondiale in F1, facendo intendere che la rivoluzione è già iniziata (vincerà i successivi quattro titoli);
- dall’altro Red Bull arriva anche in Germania, con un’altra entrata a gamba tesa. Su consiglio, pare, di Franz Beckenbauer, infatti Mateschitz e il management guardano a Lipsia, dopo alcuni tentativi falliti tra St. Pauli, Monaco 1860 e Fortuna Dusseldorf.
Nella città dell’ex Germania dell’Est, scelta non casuale, Red Bull cerca una società da cui acquisire il titolo sportivo, per non dover partire dal gradino più basso tra i dilettanti: la scelta ricade, non senza polemiche, sul Markranstädt, paese a 13km da Lipsia.
Il 13 luglio 2009, approvato il passaggio del titolo, il RB Lipsia (che sta per RasenBallsport, ovverosia letteralmente “gioco della palla sul prato”, e non per Red Bull visto il divieto di inserire brand all’interno del nome) gioca la sua prima partita, un’amichevole contro il Bannewitz vinta per 5-0 allo stadio di casa del Markranstädt.
Da lì inizia la scalata che porta fino alla stagione attuale, passando per quattro promozioni dalla Oberliga (quinta serie) fino in Bundesliga in sette stagioni, lo spostamento alla Red Bull Arena da 44mila posti dal 2010 e l’approdo nelle coppe europpe, dove gioca da quattro anni di fila tra Champions ed Europa League.
Una crescita a ritmi inauditi: nessun club era mai riuscito a centrare una semifinale di Champions League nei primi 11 anni dalla fondazione (precedente primato della Stella Rossa in 12 anni, fondata nel 1945 e semifinale dell’allora Coppa Campioni nel 1957).
Merito anche delle scelte in termini di management da parte di Red Bull. Nel luglio 2012 Ralf Rangnick diventa direttore sportivo di Red Bull Salisburgo e RB Lipsia, chiamato a replicare per il club tedesco quanto aveva fatto con l’Hoffenheim. Nella stagione 2015/2016 lascia inoltre il club austriaco per concentrarsi solo sul Lipsia, tornando in panchina per guidare la squadra al secondo posto in Zweite Bundesliga e così ottenendo la promozione.
Quanto ha speso Red Bull Lipsia, il peso di Rangnick
Dopo due stagioni in cui ha ricoperto l’incarico da direttore sportivo, con Hasenhüttl in panchina, Rangnick è tornato ad allenare l’ultima volta nel 2018/2019, stagione nella quale ha portato il Lipsia al terzo posto, conquistando la qualificazione in Champions League. In seguito ha poi deciso di proseguire soltanto l’attività manageriale, lasciando la panchina.
Fino alla stagione 2019/20, è stato l’Head of Sport and Development Soccer della Red Bull, coordinando la sezione calcio del colosso austriaco occupandosi di RB Lipsia, New York Red Bulls e Red Bull Brasil, che insieme a Salisburgo, Red Bull Ghana e Fussballclub Liefering compongono il portafoglio di club calcistici della multinazionale austriaca.
Un sistema fortemente collegato, in cui le varie società vengono usate sia come sorta di test che come trampolino di lancio per i giocatori. È il caso, ad esempio, di Naby Keita, che il Salisburgo acquista dai francesi dell’Istres, passando dopo due stagioni al Lipsia e da lì spiccando il volo verso il Liverpool.
Ancora più particolare è il caso di Dayot Upamecano, protagonista nell’ultima stagione: il Salisburgo lo compra a 17 anni dal Valenciennes, cedendolo al Liefering (di fatto la seconda squadra del Lipsia), poi facendolo giocare un anno in Austria prima del passaggio alla casa madre, percorso simile a quello dei suoi attuali compagni Haidara, Hwang Hee-chan, Laimer mentre Tyler Adams arriva direttamente dai New York Red Bulls.
Poi ci sono i talenti acquistati direttamente per il Lipsia: nel 2016 da neopromossa in Bundesliga la squadra tedesca spende 10 milioni per Timo Werner (rivenduto quest’estate a 60 milioni al Chelsea), mentre nelle ultime stagioni sbarcano anche talenti come Konate, Dani Olmo oltre al terzino di proprietà del Manchester City Angelino (in prestito) e Patrick Schick dalla Roma (in prestito con diritto di riscatto che, tuttavia, non dovrebbe andare in porto).
Le capacità di spesa di Red Bull hanno garantito investimenti importanti anche nelle prime stagioni, quando ad esempio arrivarono gli acquisti di Yussuf Poulsen per 1,5 milioni quando era in terza divisione o Emil Forsberg che arriva con il club in seconda divisione.
Tra gli altri, sono passati da Lipsia anche Joshua Kimmich (acquistato dallo Stoccarda a 18 anni e poi rivenduto al Bayern Monaco), Ante Rebic (in prestito nel 2014/15) e Diego Demme, acquistato a gennaio dal Napoli. Senza dimenticare Erling Haaland, acquistato dal Salisburgo e ceduto lo scorso gennaio al Borussia Dortmund prima del probabile approdo a Lipsia. E nella galassia Red Bulla, lato austriaco, hanno giocato tra gli altri anche un certo Sadio Mane che oggi fa le fortune del Liverpool dove è stato raggiunto da un altro ex Salisburgo comeTakumi Minamino, mentre in Austria si è visto anche Valentino Lazaro (oggi all’Inter).
Lasciata la panchina nel 2018/19, dicevamo, Rangnick sceglie come suo erede Julian Nagelsmann: una scelta che dimostra anche chiaramente quale sia la strategia. Un calcio divertente e con uno sguardo al futuro come quello del 33enne ex tecnico dell’Hoffenheim, capace quest’anno di guidare una squadra dall’età media poco sopra i 24 anni fino al penultimo atto.
E, allargando il discorso, non è un caso probabilmente se, dopo Lilla, Benfica e Genk, a schierare le formazioni con l’età media più bassa in questa edizione di Champions League siano stati Salisburgo (ko nei playoff) e proprio il Lipsia di Nagelsmann.
Quanto ha speso Red Bull Lipsia, il bilancio
Una crescita evidente anche a livello economico, spinta anche dall’aiuto di Red Bull, seppur materialmente la percentuale di impatto dell’azienda delle lattine non sia nota fino in fondo.
Il Lipsia rende noto il suo bilancio a partire dal 2014, con la promozione in 2. Bundesliga. Partendo dal bilancio 2015 (annata in cui disputa sempre la 2.Bundesliga) e arrivando fino al 2019 (ultimi dati disponibili), la crescita nel fatturato è pari al 231%, passando da 81 a 270 milioni di ricavi comprese le plusvalenze che nell’ultimo bilancio sono schizzate verso l’alto grazie alla cessione di Keita al Liverpool.
2014 (31/7-31/12) | 2015 | 2016 | 2017 | 2018 (1/1-30/6) | 2019 | Var. % 15/19 | |
Ricavi | 31,03 | 81,71 | 119,91 | 218,70 | 108,86 | 270,81 | 231,4% |
Stipendi e salari | 11,22 | 32,72 | 53,67 | 87,45 | 50,44 | 119,13 | 264,1% |
Ammortamenti | 4,24 | 14,62 | 24,27 | 42,58 | 26,58 | 53,60 | 266,7% |
Risultato netto | 0,12 | 0,44 | 1,20 | 1,39 | 1,02 | 1,65 | 278,4% |
Debiti vs RB | 20,11 | 52,38 | 83,16 | 134,14 | 121,27 | 86,30 | 64,7% |
Dati in milioni di euro | |||||||
Elaborazione Calcio e Finanza su dati RasenBallsport Leipzig GmbH |
Allo stesso modo, si sono impennati i costi, con stipendi e ammortamenti cresciuti anche a velocità maggiore rispetto al fatturato. Il costo del personale e dei giocatori in rosa nella stagione 2018/19 è stato così pari a 172 milioni di euro: per fare un confronto con alcune realtà italiane, l’Atalanta nel bilancio 2019 aveva un costo per stipendi e ammortamenti pari a 93 milioni di euro, la Lazio circa 114 milioni e il Napoli intorno ai 210 milioni. Conti che comunque restano sempre in utile per il Lipsia, con complessivi 5,8 milioni di utili dal 2014.
Al netto dell’impatto a conto economico (che nei bilanci non viene specificato), Red Bull ha garantito risorse al club soprattutto attraveso prestiti: non a caso, infatti, il valore dei debiti verso azionisti per finanziamenti è cresciuto dai 20 milioni del 2014 fino ad un massimo di 134 milioni nel 2017. Il calo a 86 milioni nel 2019 è dovuto alla scelta di Red Bull di convertire 100 milioni complessivi di finanziamento in capitale.
Modello Red Bull Lipsia, le critiche
Non sono tutte rose e fiori. Tra Austria e Germania, l’approdo di Red Bull nel calcio ha fatto enormemente discutere, dal rebranding che ha di fatto cancellato la storia dell’Austria Salisburgo fino all’aggiramento della norma sul 50%+1 (regola che vieta che la maggioranza di un club sia in mano ad una azienda, con il 50%+1 che deve rimanere in mano ai tifosi).
Un “club di plastica”, senza storia né alcun radicamento sul territorio, è una delle maggiori critiche che hanno accompagnato il Lipsia in queste stagioni. Tanto che, come spiega il Daily Mail, il mensile sportivo tedesco 11 Freunde non darà notizia della semifinale, spiegando che “il loro successo ricorda i bambini che imbrogliano ai videogame sul computer. Non c’è nulla di romantico riguardo al modo in cui la squadra del Lipsia è stata messa insieme”.
Sentimento condiviso anche da molti altri appassionati in Germania, tanto che a lungo il Lipsia è stato accolto nel peggiore dei modi nelle gare in trasferta, con l’appellativo non casuale di “squadra più odiata della Germania”.
Senza dimenticare, inoltre, il tema del Fair Play Finanziario, considerando il legame di Red Bull sia con il Salisburgo sia con il Lipsia, con il rischio che i due club si possano incontrare nelle coppe.
Secondo l’Uefa, tuttavia, dal 2017 l’influenza di Red Bull sul Salisburgo si è notevolmente ridotta: erano state rimosse alcune persone legate alla Red Bull (e che erano anche contemporaneamente coinvolte con il Lipsia) nel CdA, così come il presidente del CdA, legato a Red Bull, si era dimesso.
Inoltre, era stato modificato l’accordo di sponsorizzazione tra Salisburgo e Red Bull (con spazi e cifre ridotte), così come è stato concluso l’accordo di collaborazione tra i due club e i diversi prestiti erano stati conclusi.
In sostanza, secondo la Camera Investigativa dell’Organo UEFA di Controllo Finanziario dei Club, la relazione tra Red Bull e il Salisburgo, in seguito alle modifiche, è diventata una relazione di sponsorizzazione standard.
Intanto, però, a volare resta il Lipsia, che ora sfiderà il Paris Saint Germain in semifinale: una sfida in cui le critiche per come sono gestiti i due club non mancheranno. Ma quello che c’è dietro questa semifinale per il Lipsia e tutto il percorso fin da quel 13 luglio 2009, quando l’allora club neonato scendeva in campo per la prima volta come RasenBallsport Lipsia, resta sotto gli occhi di tutti.