«Sono un “trainager”. Trainer, allenatore, ma anche manager. Risultato sportivo ed economico fanno parte dello stesso progetto e un head coach dà il meglio di sé quando sceglie i calciatori adatti al suo gioco e non subisce decisioni altrui. Klopp al Liverpool lo sta facendo e i risultati sono arrivati. Serve sostenibilità a medio-lungo termine e tutto parte da un concetto: l’idea fortissima del calcio da proporre».
A parlare è Ralf Rangnick, al centro della lunga trattativa che avrebbe dovuto segnare il suo passaggio al Milan per un nuovo corso. Trattativa che non è andata a buon fine, e il perché lo spiega lo stesso Rangnick in una lunga intervista al Corriere della Sera.
«Una risposta semplice può essere: c’è stato il Covid. Ero stato contattato a fine ottobre, quando il Milan era quattordicesimo a 3 punti dalla retrocessione. Mi ha colpito la conoscenza che avevano del mio lavoro passato. Poi Pioli ha vinto 9 partite e ne ha pareggiate 3, così la faccenda è terminata. Eravamo d’accordo sul fatto che cambiare, a quel punto, non sarebbe stato saggio nell’immediato. Sul medio-lungo termine non so e questa può essere una risposta più complessa. Di sicuro non ho cambiato convinzioni e filosofia».
Proprio a proposito degli innesti di Ibrahimovic e Kjaer, il manager tedesco spiega: «Sono ammirato dalla forma fisica di Ibrahimovic a 38 anni. Però il mio compito è sempre stato creare valore, non comprarlo. I calciatori vanno cercati quando non li conosce quasi nessuno e quelli più esperti, che sono già nel club e hanno atteggiamento e mentalità convincenti, possono comunque migliorare attraverso il lavoro dello staff».
«Tra Hoffenheim, Salisburgo e Lipsia – spiega Rangnick – la crescita di valore dei giocatori è passata da 120 milioni a 1.200 milioni. Quando abbiamo comprato Timo Werner per 14 milioni dallo Stoccarda molti pensavano che avevamo pagato troppo, ma io avevo visto il potenziale. All’Hoffenheim abbiamo preso Luis Gustavo dalla serie B brasiliana e poi è arrivato in Seleçao tre anni dopo. Kimmich è arrivato dagli allievi Under 19 dello Stoccarda e due anni dopo è diventato titolare al Bayern e in Nazionale».
A proposito della possibilità di esportare il sistema: «Bundesliga e Serie A sono simili: Bayern e Juve dominano da tanti anni e ci sono un gruppo di squadre che provano a costruire un’alternativa. Per questo serve una visione d’insieme e un piano preciso. Il lavoro fatto all’Atalanta da Gasperini e il suo staff è eccezionale».
Sulla possibilità di partire con una nuova proprietà, come ad esempio alla Roma: «Roma è una metropoli mondiale e la Roma è un club di tradizione europea, che ha vinto l’ultimo dei suoi tre scudetti 20 anni fa e l’ultimo trofeo 12 anni fa, la Coppa Italia. Sarà interessante vedere come i nuovi proprietari Dan e Ryan Friedkin, imprenditori di successo, cercheranno di rimettere la Roma sulla strada del successo».
Poi una battuta sull’eterno dilemma tra talento o strategia: «Tutti gli sport di squadra hanno una regola: più giocatori ci sono e più il campo è grande, più conta la strategia. I miei allenatori hanno la piena autonomia nello scegliere il modulo e la formazione, ma l’idea di calcio non deve cambiare mai».
E sul fatto che nel calcio vincano sempre i più ricchi, Rangnick conclude: «Succede spesso, ma il Lione non era più ricco del Manchester City e l’ha eliminato, mentre l’Atalanta è arrivata a pochi minuti dall’impresa di eliminare il PSG. Ai massimi livelli è indispensabile saper fare tutto con la minima percentuale di errore».