Chi è John Henry – Dopo aver riportato al successo i Boston Red Sox dopo 88 anni, John Henry ha rilanciato il Liverpool sul campo e sui bilanci. Il club inglese valeva 300 milioni 10 anni fa e ora è stimato a 1,7 miliardi. E adesso strizza l’occhio alla Superlega.
Così un articolo di MF-Milano Finanza presenta Henry che in dieci anni alla guida del club della Merseyside ha portato un asset non certo di facile gestione come il Liverpool a valere da 300 milioni di sterline a 1,7 miliardi nel 2019. Un rendimento, spiega il quotidiano, del 466% che farebbe invidia al più spregiudicato degli hedge fund.
Non solo, ma tutto questo è stato coronato da successi in patria, dove il club di calcio inglese è tornato a vincere il campionato dopo circa 30 anni di astinenza, e sul proscenio internazionale dove i Reds hanno trionfato nel 2019 sia in Champions League che nel Mondiale per Club.
John Henry, che con il suo Fenway Sports Group è proprietario del Liverpool dal 2010 – e per Forbes l’804° uomo più ricco del mondo con un patrimonio personale di circa 2,8 miliardi di dollari –, è diventato negli ultimi anni il re Re Mida del calcio europeo.
Non a caso molti imprenditori americani che hanno cercato fortuna nel calcio lo vedono come l’esempio da imitare (anche se magari con fortune diverse). Non ultimo l’ex presidente della Roma James Pallotta che con il Fenway Sports Group ha da sempre relazioni molto strette.
D’altronde i numeri della gestione Henry a Liverpool sono impressionanti. Nelle ultime cinque stagioni “normali” tra 2014/15 e 2018/19 (cioè tralasciando l’effetto Covid del 2020) il fatturato del club è infatti cresciuto del 79% a 533 milioni di sterline e l’ebitda è salito del 69% a 124 milioni di sterline. Performance raggiunte in virtù di un forte incremento dei ricavi commerciali (+62% a 188 milioni) e da stadio (+43% a milioni).
E ora, con i chiari di luna dal punto di vista economico imposto dal Covid, sottotraccia Henry sta valutando molto attentamente una nuova idea che potrebbe presto rivoluzionare il mondo del calcio: ovvero quello della Superlega europea.
Un torneo stile NBA tra i gradi club del Vecchio continente che negli auspici di chi sta ideando il progetto, dovrebbe consentire di aumentare esponenzialmente i ricavi. Il piano, ancora agli albori e fortemente osteggiato dalla UEFA, avrebbe già ottenuto il sostegno finanziario di Jp Morgan (la banca newyorchese avrebbe stanziato 5 miliardi di euro per l’operazione) e il supporto occulto del Real Madrid e quello esplicito del cda uscente del Barcellona.
Per il momento Henry, per quanto citato dalla stampa britannica come favorevole all’idea, rimane in attesa. Anche se per la stampa di Oltremanica, è un “no comment” che sa molto di conferma.
Se ciò avvenisse si tratterebbe della terza grande avventura sportiva di Henry, manager 71enne cresciuto nel mid-west americano senza riuscire a laurearsi all’Università della California. Prima di rilanciare il Liverpool, infatti Henry si era prima lanciato negli anni ’80 nel business dello sport entrando nel capitale di franchigie minori di football per poi riportare in auge i Boston Red Sox, squadra di baseball che soffriva della “maledizione del Bambino” per aver ceduto nel 1920 il fuoriclasse Babe Ruth ai rivali dei New York Yankees.
Nel 2001 infatti Henry creò con il produttore televisivo Tom Werner la New England Sports Venture (poi divenuta Fenway Sports Group) e comprò i Red Sox. E tre anni dopo il team sconfisse la maledizione che durava da 88 anni vincendo il campionato (cosa poi ripetuta nel 2007).
Ma come è stata possibile questa risalita sia sportiva che economica del Liverpool? In primo luogo, spiega chi ha seguito il club da vicino come i principali blogger economici britannici di calcio (nei fatti ex investment banker della City che ora fanno i conti in tasca alle squadre di Premier Leaugue), attraverso una politica gestionale aggressiva.
Il management per esempio non ha avuto paura di alzare i prezzi dei biglietti e dei servizi accessori anche se questo ha causato scontento tra i tifosi, “ma rimanendo sempre attenti a quella linea sottile tra esigenze gestionali e non andare troppo contro i tifosi”.
Un’altra politica è stata quella chiamata “Moneyball”. Una strategia di calciomercato basata su un mix di plusvalenze e opportunità, secondo al quale se il club cede un pezzo da novanta come Andy Carroll, allora compra il semi sconosciuto Luis Suarez dall’Ajax (rivenduto poi al Barcellona qualche anno più tardi con una plusvalenza di 50 milioni di sterline).
Allo stesso modo la cessione monstre di Philippe Coutinho al Barcellona (per 160 milioni di euro) servì per acquistare l’attaccante della Roma Mohamed Salah e la colonna difensiva Virgil Van Dijk. Oltre a questo, le campagne acquisti sono state condotte monitorando scarti di altre società o di squadre retrocesse (Wijnaldum, Andy Robertson), talenti sconosciuti (Joe Gomez) ma senza avere paura di assestare colpi milionari come l’acquisto del portiere Allison dalla Roma.
Ovviamente l’arrivo nel 2016 del mega contratto sui diritti tv della Premier League, garantito da British Telecom e Sky, ha aiutato molto questa crescita, ma va anche detto che ha arricchito la maggioranza dei club inglesi e non solo il Liverpool (la quota distribuita equamente tra tutti i club è notevole infatti).
Una strategia che ha permesso al Liverpool di raggiungere il settimo posto nella classifica dei fatturati stilata da Deloitte e che da quando è arrivato Klopp nel 2015 ha generato profitti per 187 milioni di sterline. Non a caso la scorsa estate il veicolo RedBall era in trattativa per una possibile quotazione di Fenway (che poi non si è verificata) che valutava la società 8 miliardi di dollari. Probabilmente se ne riparlerà una volta passato lo tsunami Covid.
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