Il gol di Muntari e i risvolti sulla sua avventura al Milan, la proprietà del club rossonero, ma non solo. Adriano Galliani ha affrontato anche il tema Coronavirus nella sua intervista a Libero, e dei risvolti dell’emergenza sul mondo del pallone.
«Non è più quello di prima. Le partite hanno meno intensità e i valori sono alterati. Il calcio non è solo tecnica, ma anche emotività. Alcuni calciatori, senza i tifosi, si spengono e rendono la metà mentre altri, che si fanno intimorire dai fischi, ora giocano meglio. E poi è saltato il fattore campo, il che ha conseguenze importanti nelle coppe», ha spiegato l’ad del Monza.
Sul rischio di un fallimento del calcio: «Il calcio non fallirà, ma molte squadre potrebbero fallire perché il sistema ha avuto una contrazione dei ricavi di quasi il 25%, e non è finita. Mancano del tutto gli introiti dei biglietti, si riducono le entrate che arrivano dagli sponsor e dalla vendita di magliette e prodotti legati alla squadra e poi rischiano di venir meno molti soldi delle tv».
Su come se ne possa uscire: «Il calcio è la quinta industria del Paese, il governo dovrebbe trattarlo come le altre aziende colpite dalla pandemia». Ma niente soldi direttamente dallo Stato: «No, però almeno una dilazione delle imposte e crediti fiscali a chi sponsorizzano società sportive mi sembrano il minimo sindacale».
«Il calcio non è solo serie A. A primavera – aggiunge – il 75% dei professionisti della C era in cassa integrazione. Significa che tre su quattro guadagnano meno di 50mila euro l’anno. Basta con il pauperismo d’accatto, siamo un settore dell’economia come gli altri, i calciatori sono lavoratori dipendenti con contratti a termine».
Perché non tutti costano oltre 60 milioni di ingaggio all’anno, «quello è solo Cristiano Ronaldo, che però paga allo Stato 28 milioni di euro di tasse, spende in Italia, consuma in Italia. Chi porta i Ronaldo fa un favore al Paese, i ricchi fanno bene all’economia».
In chiusura una battuta sul taglio degli stipendi: «Il taglio non può essere imposto dalla Lega o dalla Federazione, perché si parla di rapporti di lavoro tra privati e nessuno ha diritto di intervenire. Sta alla società e al singolo calciatore. Certo, qualche sacrifico economico non guasterebbe».