Articolo a cura degli avvocati Gianluca Cambareri e Helene Thibault dello studio Tonucci & Partners
Con un tweet del 23 novembre scorso, Zlatan Ibrahimovic ha innescato quello che potrebbe essere l’inizio di una guerra contro i giganti del videogioco. In un messaggio di poche righe, il campione svedese ha infatti apertamente contestato il diritto di EA Sport di sfruttare la sua immagine all’interno di FIFA 21, il più famoso gioco di football simulation al mondo (“Who gave FIFA EA Sport permission to use my name and face? @FIFPro ? I’m not aware to be a member of Fifpro and if I am I was put there without any real knowledge through some weird manouver”).
Benché il tema sia noto a tutti gli attori dell’industry, è la prima volta che un giocatore di primo piano prende apertamente posizione contro il publisher del famoso videogioco, accusandolo di utilizzare il proprio nome e le proprie sembianze illegittimamente.
Per capire la posizione del celebre numero 11 dell’AC Milan, occorre ripartire da un principio cardine del nostro ordinamento giuridico: ai sensi degli art. 10 del Codice Civile e degli artt. 96 e 97 della legge n. 633/1944 sul Diritto d’Autore, il diritto d’immagine è un diritto personalissimo, e spetta esclusivamente alla persona titolare di tale diritto decidere se e come diffondere e/o esporre la propria immagine.
Nell’era dei mass media e della commercializzazione dell’immagine, la giurisprudenza ha costantemente puntualizzato che lo sfruttamento economico dell’immagine altrui è condizionata all’ottenimento del previo consenso della persona ritratta.
In ambito sportivo, le regole in materia di sfruttamento del diritto d’immagine hanno tuttavia dovuto concorrere con i vari interessi in gioco. Infatti, nell’ambito dei giochi di squadra, accanto al diritto del singolo giocatore a sfruttare commercialmente la propria immagine individuale (stipulando contratti promo-pubblicitari con sponsor e partner commerciali propri), è stato progressivamente riconosciuto il diritto esclusivo delle società sportive a sfruttare il c.d. “diritto d’immagine collettiva” della propria squadra, intesa come diritto di utilizzare (e consentire a terzi di utilizzare) commercialmente l’immagine collettiva di almeno 4 giocatori in divisa o comunque raffigurati nel contesto delle loro attività per la squadra.
Tuttavia, la delimitazione dei confini tra diritto di immagine “individuale” e “collettiva” non è sempre così netta. L’interpretazione che viene data al concetto dipende dalle rispettive forze in campo: se alcuni giocatori bandiera possono senz’altro rivendicare maggior tutela per i propri diritti d’immagine individuale, è spesso la stessa società sportiva, o meglio – la prassi consolidata e concertata tra le queste ultime – a definire i confini tra quello che rileva come diritto collettivo in capo alla società e quello individuale, riservato al singolo giocatore.
Per quanto riguarda il calcio, la questione è resa ancor più complessa dall’esistenza dei sindacati dei giocatori, quali l’AIC in Italia e FIFPro a livello mondiale. Per quanto riguarda AIC, lo stesso statuto dell’associazione prevede la concessione automatica da parte dei propri aderenti del diritto di sfruttamento commerciale della loro immagine nell’ambito dei cc.dd. prodotti collettivi, intesi come prodotti che coinvolgono l’immagine di più giocatori o più squadre.
Tali diritti entrano poi nella disponibilità giuridica di FIFPro per effetto dell’affiliazione della stessa AIC al sindacato mondiale. La loro gestione in forma centralizzata consente senz’altro ai giocatori che non godono di particolare fama individuale di trarre beneficio dallo sfruttamento della propria immagine, ma crea al contempo maggior incertezza circa la titolarità dei diritti stessi.
Risulta da quanto sopra un’area dai contorni non ben definiti di cui gli stakeholders hanno finora tratto vantaggio.
La prassi vede di norma FIFPro concedere in licenza ai publisher i diritti di sfruttamento economico dell’immagine dei propri associati all’interno del gioco, e i Club concedere in licenza al publisher il proprio logo e, sole ove nella propria disponibilità in virtù di accordi specifici, lo sfruttamento dei diritti d’immagine di taluni giocatori o ex giocatori, ai fini di un loro utilizzo nel gioco. I diritti concessi ai publisher rischiano pertanto di non includere i diritti di immagine di quei giocatori che non hanno concesso il loro sfruttamento a FIFPro e/o al Club.
Se poi si considera che molti giocatori di primo piano – come Ibrahimovic – non sono membri di FIFPro, è facile intuire l’impatto che un’eventuale richiesta di indennizzo da parte di questi giocatori per sfruttamento non autorizzato della loro immagine potrebbe avere nei confronti dei publisher come EA Sport o Konami (publisher di PES, l’altro grande football simulation game del mercato).
Altro tema può riguardare le modalità di sfruttamento dei diritti di immagine che rischiano talvolta di essere utilizzati fuori dal perimetro della licenza concessa. Si pensi ad esempio, all’immagine utilizzata non solo in-game, ma anche nel packaging e nelle attività promozionali relative al gioco, con modalità che non sempre possono considerarsi ricomprese nei diritti di sfruttamento di immagine collettiva delle squadre rappresentate o nei diritti rientranti nella disponibilità dei sindacati dei calciatori.
Se EA ha nel frattempo cercato di ridimensionare la vicenda, dichiarando di aver regolarmente acquistato tutti i diritti dai legittimi titolari, il giocatore svedese non sembra voler demordere. Peraltro, giocatori o ex giocatori di fama internazionale come Gareth Bale o Gianni Rivera si sono già schierati con il giocatore svedese, e non è da escludere che altre star del pallone formulino presto, in modo più o meno plateale, critiche o pretese tese a sedersi al tavolo delle trattative di un mercato milionario di cui sono stati finora esclusi.