Caso Suarez avvocato Juve
Luis Suarez (Photo credit should read FABRICE COFFRINI/AFP via Getty Images)

«Quando mi hanno chiamato per dirmi che la Juventus stava cercando di fargli farel’esame di italiano, mi hanno dovuto spiegare chi fosse. Ho pensato che fosse un buona opportunità per rilanciare la visibilità del mio Ateneo». Così Giuliana Grego Bolli , ex rettrice dell’Università per stranieri di Perugia, ha raccontato in un’intervista a Repubblica i primi contatti per l’esame di italiano a Luis Suarez, finito al centro dell’indagine della Procura di Perugia.

«Contatti coi manager della Juventus? No, mai. Ci parlava il direttore generale Simone Olivieri, a cui ho affidato l’organizzazione. Non ho avuto alcun ruolo nella preparazione né dell’ esame, né del certificato di prova superata. Non ho mai avuto questa sensazione che l’intero Ateneo si sia messo a disposizione, né pressioni di alcun genere. A me di Suarez non importava niente. Promesse dalla Juventus? Olivieri mi parlò della possibilità di stipulare una convenzione per i giocatori della primavera. L’ho ritenuta una buona opportunità, ma non l’ho mai presa sul serio».

«Esame regolare? Il B1 richiede una capacità di farsi capire a livello medio-basso. Essendo ispanofono, Suarez era facilitato. Durante la pandemia l’esame di B1 si tiene solo in forma orale e dura circa 12 minuti. A queste condizioni risulta più accessibile. Avendo studiato, Suarez poteva superare un B1. Però io non l’ho mai sentito parlare».

«Non potevo sentire cosa si dicevano al telefono i miei collaboratori. Di sicuro c’ è stata una sovrabbondanza di chiacchiere, un’euforia dovuta in parte alla legittima voglia di promuovere l’Ateneo e in parte alla fede calcistica. Spina e Olivieri sono juventini. C’era un clima da stadio».

«C’è qualcosa che non rifarei? Non mi riavvicinerei al mondo del calcio. Se ritornasse un Suarez a chiedere di fare l’esame, direi di no. Non per Suarez, ma per il clamore che si porta dietro il calcio. Adesso ho paura di tutto», ha concluso.

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