Ebru Koksal, presidente del network Women in Football, è sicura. Intervistata dal Financial Times, ha affermato: “Entro il 2030, il calcio femminile sarà diventato uno sport comune. Ad eccezione dei massimi livelli del campionato maschile, potrà comunque competere con le leghe inferiori, o altri sport come rugby, cricket o tennis”.
Un bacino di spettatori potenzialmente più ampio, quindi, di diverse leghe calcistiche secondarie o della Premiership, la principale lega rugbistica inglese. Secondo quanto riportato dal Sun, la crescita del movimento potrebbe portare ricavi da diritti televisivi tra 216 e i 346 milioni di sterline (circa 400 milioni di euro) per le cinque principali leghe europee.
Ad alimentare l’entusiasmo e le prospettive è anche crescente interesse nei confronti del calcio femminile dal 2019, anno dei mondiali, ad oggi, con BT Sports che ha registrato picchi di audience fino a 85.000 spettatori per le gare della Women’s Super League (WSL), il massimo livello del calcio femminile in Inghilterra.
La fiducia nella crescita del movimento si riflette anche nel discorso degli arbitri. Solamente settimana scorsa, la FA ha dichiarato di non avere un progetto per l’introduzione di arbitri con contratto a tempo indeterminato per la WSL, dal momento che “non vi sono abbastanza guadagni per poterli pagare”, ma che comunque le cose sarebbero potute cambiare nel momento in cui dovessero arrivare iniezioni di liquidità.
Joanna Stimpson, che si occupa del mondo arbitrale in relazione al calcio professionistico femminile per la FA ha detto: «Nei prossimi tre anni abbiamo in programma di aumentare davvero quel livello di professionalità intorno alla WSL e al campionato. Ciò significherà arbitri a tempo pieno nei prossimi tre anni? No, forse più avanti».
«La nostra visione è quella di avere ufficiali di gara a tempo pieno per la WSL. Ma purtroppo siamo guidati dal valore del campionato. Se ci fossero nuove fonti di reddito da qualche parte, le cose potrebbero cambiare», ha concluso.